contatto

sono fermo al semaforo, in auto e sento bussare.
toc toc!
mi guardo intorno, nessuno.
toc toc!
ma da dove bussano? sono sul tetto? mi innervosisco.
toc toc!
mi agito, apro gli occhi, mi giro verso la sveglia: le 3.42

toc toc!
sbiascico a mia moglie: "ma chi cacchio bussa?"
"è Alino" fa lei ridacchiando.
"ALINO!?"
"si, vuole che vai di là".
"e te come lo sai che vuole me e non te" penso io .... vabbè.

toc toc!

insiste!!! è pazzesco, siamo passati dal frigno di quando era piccolo, al mugugno lamentoso con chiamata finale "paaaaaapiiiii" dei tre anni, alla convocazione con alfabeto morse dei 4 anni. toc-toc = vieni-qui (papà non lo ha detto però .... vabbè).
è proprio un fenomeno questo nanetto qui.

vado a prenderlo, lui come mi intravede si alza sulle ginocchia e si tuffa, che se non sono pronto si sfracella al suolo. nel breve tempo in cui raggiungo la sua stanza ha già fatto una accuratissima cernita dei peluches da trasferta. nanna bianca in mano sinistra, con pollice in bocca, pippo piccolo sotto il braccio, pecorella ricciola sdrucita nella mano destra ma con due dita libere per il contatto. dicesi contatto la pinzatura soffice che mi fa con pollice e indice sul lobo dell'orecchio appena mi salta in braccio.

"vieni rompino che ti porto nel lettone".
"è vero che in macchina sono io che mi posso sedere in mezzo e non la linda?" (la cuginetta che va all'asilo con lui al mattino)
"amore è notte nottissima, dormi e non fare questioni"

lo metto a letto, mi pinza ancora un po' il lobo e ridorme.

sono fermo al semaforo, col finestrino aperto, c'è gente intorno all'auto.
sdengggg. qualcuno m'ammolla un ceffone.
mi giro di scatto.
nessuno.
mi distraggo un attimo a guardare dall'altra parte.
sdengggg.
un'altra sberla, stavolta sul naso.
m'incazzo, mi volto di scatto, apro gli occhi. le 6.52 e mentre capisco che la mia notte è finita vedo una mano grassottella che percorre la mia guancia, la perlustra, trova il lobo e comincia a accarezzarmelo.

un altro contatto d'amore.
è stata un buona nottata.

il ravanello

Sarà stata l'estate del 1971. Giurai di ricordarmi per tutta la vita che quello che avevo vissuto quel giorno, non avrei mai voluto riviverlo e non lo avrei mai augurato a nessuno.
Il problema era che non mi si "apriva" il pisello e data l'importanza del fatto era stata convocata la pediatra per provvedere, controllare, visitare.
Sapevo già che mi avrebbe fatto male perchè c'erano stati già dei conciliaboli familiari con tentativi annessi. Il dramma ormai era condominiale viste e sentite le urla che emettevo a tutti i tentativi. Tutti falliti.
La pediatra-orco (che le pediatre non sono mai dolci e belle, ma sempre brutte e grezze - si veda un mio vecchio posto relativo a quella dei miei bambini), dicevo, l'orco pettinato da pediatra entro, afferrò, scappucciò il povero pisello, io urlai come Mina, lei sentenzio che l'operazione andava ripetuta tutti i giorni magari con l'aiuto di vaselina, che io chiamai subito piselcera, cioè cera per il pisello.
Vabbè. (fux e gni ... lo so che ridete).

Ieri mia moglie entrando a letto mi sussurra "mi sa che ho fatto un casino". "cioè?" dico io. "Asciugando il pisellino di Alino (4 anni fra poco) mi sa che ho tirato troppo e lui ha urlato come un'aquila".
"TIRATO???, amore ma da quando per asciugare un micro-pisello si tira???, vabbè domani ci do un'occhiata".

Avete presente un ravanello maturo?
Spoglio Alino e gli dico "Amore vieni che papà ti controlla il pipo".
Urli immediati.
O santateresadigallura!
Il "pipo" in questione, roseo all'esterno ma particolarmente gonfietto, nascondeva al suo interno una roba rosso fuoco. Bastava aprire la puntina che usciva una roba orribile.
Dico sereno: "Alino, ci pensa papà".
Urli, contorsioni, suppliche, scalciamenti.
Penso: "Belin, ma quanto ha tirato???"
Capisco presto che non ha tirato niente, ma ha solo asciugato un pisello già infiammato per i fatti suoi.
Ripasso la storia pediatrica degli ultimi 7 anni e sentenzio a voce alta: "Acqua Borica!!!"
Urli, contorsioni, suppliche, scalciamenti.

Recupero il bottiglino, recupero Alino che nel frattempo è fuggito in dispensa e imposto la voce.
Parto gentile-rassicurante, poi divento tenero-supplichevole, viro verso un affettuoso-preoccupato ma al terzo calcio nelle palle e al secondo cartone in faccia ricevuti, passo al rugby.
Lo placco, lo immobilizzo, mi ci sdraio sopra, con una mano afferro il micro pirillo, con l'altra l'acqua borica aperta a sguazzo, ma mentre sto per agire mi viene un dubbio atroce.
Sarà acqua borica?.
No, perchè posso pensare di fare qualunque errore, ma di dare una secchiata, che so, di collutorio alla menta piperita sul pirillo in fiamme di mio figlio è fra le cose che non mi perdonerei mai.... figuratevi lui.
Lo annuso. Inodore. La breve pausa mi costa un altro calcio, ho allentato la presa!. Vabbè.
Non mi basta, non mi fido, magari è qualcos'altro ...... l'assaggio. Che schifo. Deve essere proprio acqua borica.
Ri-placco il satanasso ormai cianotico, afferro il ravanello bordeaux, lo scappuccio con velocità e ci svuoto mezzo bottiglino di acqua borica sopra.
Alino strepita, urla "voglio la mamma".Ormai è oltre la rabbia. In 8 secondi gli ho già dato tutti i motivi per uccidermi, farmi a pezzi e infilarmi nel frigo, diventare un naziskin, non finire le scuole medie e andare a fare il punkbestia ad amsterdam.

Lo libero, sfinito.
Guarirà bene, sentenzio soddisfatto. Lo coccolo un po' e lo metto a letto.
Ancora gli trema il pancino dal pianto. Lo sbaciucchio, gli spiego che papà lo sa come si cura un pipo infiammato. Lui mi dice "sei cattivissimo", però si fa baciare.

Esausto decido di andare a dormire anch'io, ripenso alla scena, "avrò esagerato?". di colpo mi ricordo della mia pediatra-orco..... Mi viene un colpo ..... avevo giurato a me stesso ...... accidenti.

Mi infilo a letto e sussurro a mia moglie: "mi sa che ho fatto un casino". "cioè, dice lei?". "il pipo di Ale ..... mi sa che ho tirato troppo anch'io...".

dilemmi di lealtà

mi dico: "bentornato a casa".
l'azzurro del mio blog, il silenzio totale che mi serve per scrivere, lo stato d'animo che cerco per farlo, costituiscono un luogo del mondo nel quale vivo bene.
eccomi di nuovo qui.
ne sono felice.
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durante gli anni di studi pedagogici e di mediazione familiare (soprattutto quelli) ho sempre sentito dire, ripetere, quasi fino all'autoconvinzione che la separazione non è la fine della famiglia, non è una catastrofe, e che le parti coinvolte sanno trovare la via per riorganizzarsi.
credo di averlo detto, pensato e scritto anche io, ma confesso di aver sempre pensato mentre lo sentivo o lo dicevo "sarà poi vero?".
in effetti lo è. ci si riorganizza, ci si abitua, si riparte.
ma il punto non è quello, il punto sta nei costi pagati da tutti. è lì che si misura l'entità dell'eventuale danno.
il traguardo di ricominciare a parlare cordialmente, frequentarsi più o meno assiduamente anche se alternandosi, permettere a tutti di avere rapporti frequenti con i familiari non può essere il punto di arrivo o di sodisfazione ma deve essere il primo step di un lavoro molto più profondo e ampio che miri a ristrutturare il "disegno del mondo" che costituisce l'universo affettivo e formativo dei bimbi coinvolti.

detto questo, quando sento il mio caro amico, che si è separato da un anno, che mi dice con una certa dose di rasserenamento che suo figlio si è finalmente abituato e ha trovato il modo di stare con lui e di stare con la sua ex-moglie, dentro di me penso che la sua strada sia appena iniziata e sia molto in salita.
lo penso perchè mi sembra non gli salti agli occhi il dato più preoccupante .
non si accorge, cioè, che il bimbo quando è con lui non parla della mamma e quando è con la mamma mente non raccontando nulla del papà.
non si accorge che il pericolo per la formazione del suo cucciolo non sta nell'avere due case e due lettini, ma è avere un papà e una mamma che si screditano a parole, fatti, gesti, silenzi, creando dentro di lui una tempesta incontrollata ed incomprensibile di dubbi, di mancanza di punti di riferimento, con conseguente carenza di appoggi, di sicurezze, di conferme.
la soluzione dei disagi pratici (due case, due lettini) che insorgono quando i genitori si separano è una cosa che a certi bimbi riesce facile ed in certi casi divertente, perchè offre loro spazi ed occasioni per rapporti più esclusivi e profondi.
quello che invece è più complesso per loro è preservare intatto ed unito il loro universo formativo, fatto di scambi, incroci, conferme, miscugli continui fra ciò che ricevono da uno e dall'altro genitore.
l'interruzione di questo enorme flusso di informazioni li porta a dubitare ogni giorno di ciò che hanno imparato il girono prima, li porta a non riuscire più a riconoscere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e avere forti dilemmi di lealtà nei confronti di due persone con le quali vorrebbero essere solidali ma che impongono loro due linee differenti.
i danni provocati da queste dianmiche sono i veri problemi della separazione con figli ed io credo che, se il divorzio è stato giustamente accettato socialmente come una conquista per l'affermazione della libertà personale, il prossimo obiettivo che la nostra cultura deve porsi per progredire e quello di insegnare ai futuri genitori a essere consapevoli di come - eventualmente - ci si separa.

consiglio:
Galli Kluzer - Separati ma genitori - Ed. San Paolo
Oliverio Ferraris - Dai figli non si divorzia - Ed. Bur

stasera l'ho presa sul serio .....

mi fai le coccole, tantissimissimissime?

quando vedo le due testine dei miei cuccioli appoggiate sul cuscino e sento le loro vocine che mi dicono "papi mi fai le coccole?" capisco che forse il nostro messaggio d'amore è passato.
il piccolo Alino - quasi 4 anni - è senza ritegno: "papi mi fai le coccole, tantissimissimissime?" e non c'è sera che non me ne vada senza che lui mi dica "no, non andare via, ancora un po' di coccole". samu - 7 anni spaccati - invece è più silenzioso, lui è grande, ma se le cucca che è un piacere, con anche qualche richiesta un po' più raffinata:"nella schiena papi", oppure mi prende la mano e ci appoggia la sua guancia sopra e me a tiene stretta perchè non la tolga.

ok, mi dico, missione compiuta!.
non potete fare a meno dell'amore, del calore, del contatto, conoscete il linguaggio della tenerezza, sapete chiedere, avete fiducia di ricevere, vuol dire che le vostre sinapsi affettive sono aperte, libere, attive, ingorde.
saprete amare.

quando ero ancora un ragazzo, ricordo di aver pensato spesso che i casini più grossi li avevo trovati nelle persone che non erano state amate.
ricordo di aver stilato e ideato uno dei classici dogmi che si poducono verso i 18 - 20 anni, quando cioè si comincia a capire qualcosa ma non si è ancora capito niente (ma a volte si azzecca). dicevo: "un genitore può fare tutti gli errori del mondo e sono quasi tutti perdonabili ma ce n'è uno imperdonabile, quello di non dare amore ai propri figli".

ebbene mi prendo la responsabilità di dire che almeno la seconda parte dell'aforisma è esatto.

poi possiamo spendere cento milioni di parole per disquisire sul significato vero del "dare amore".
mi limiterei a dire che non è sufficiente "amare" ma occorre "dare amore", cioè conoscerne i linguaggi, diversi per ogni età e per ogni tipo di bambino, utilizzarli ed insegnarli.
amare e basta invece, è qualcosa di muto, di interiore per chi ama, poco fruibile per chi desidera essere amato.

insegnare il linguaggio dell'amore è ciò che crea nei bambini la meraviglia del "saper chiedere" e l'incanto dell'"avere fiducia di ricevere", la serenità cioè nel mostrare la parte fragile di se che ha bisogno di conforto, e la certezza interiore che ogni richiesta troverà una risposta.
insegnare il linguaggio dell'amore è l'unica missione che un genitore non deve fallire ed imparare a farlo non è poi così difficile. basta provarci, riprovarci e riprovarci ancora, tutti i giorni, tutti i momenti, tutti gli istanti, tutta la vita.
alla fine questo fiume d'amore che abbiamo dentro sicuramente una via per liberarsi e inondare il mondo la troverà.

pronto amore!

dal marciapiede della stazione il quadretto era il seguente: mia suocera sorridente al centro del finestrino, già a dettar regole, che da quando è in pensione e non fa più la prof. un po' le manca e allora si esercita coi nipoti, Samu (6,5 anni) con la faccia di quello che "si vabbè ti saluto, ora vai però che le cose sdolcinate non mi piacciono", il piccolo Alino (3,5 anni) eccitatissimo di essere sul treno ma con un faccino un po' interrogativo tipo "si il treno è bello ma mi sa che fra un po' noi andiamo via e voi due restate qui".
io e mia moglie contenti a dire frasi di incoraggiamento, a far festa a questo bel viaggetto in treno verso la campagna con la nonna (e la bisnonna che è già là ..... mioddio!!!) per evitare momenti troppo strappa lacrime o scenate del cucciolo, che sugli addii è sempre un po' triste. inoltre - non neghiamocelo - ci diamo un tono anche per cercare di restare in equilibrio tra la necessità di non sembrare troppo euforici agli occhi della nonna alla quale abbiamo sbolognato i figli per sette giorni (che meraviglia) ed il timore di far trasparire agli occhi dei nostri figli la commozione di vederli andare via senza di noi.
parte il treno. Alino abbozza un faccino triste, i nostri saluti aumentano, il cuoricino si stringe .......... e vai cavolo, non potrebbero partire un po' più veloci sti treni, sembra lo facciano apposta.
abbiamo gli occhi lucidi e non ci guardiamo per reciproco rispetto della privacy, poi ci incamminiamo verso la nostra settimana di vacanza in città, con tanto lavoro e pochi orari (finalmente), niente corse all'asilo e niente rientri a casa volanti prima che la tata se ne vada, senza orari per la cena senza nonne da chiamare per il cinema senza culetti da pulire, marachelle da sgridare, dita nel naso da rimproverare, senza pigiamini da infilare e bimbi recalcitranti da domanre per far dormire, senza vocine nella notte che chiamano, senza corpicini messi storti nel lettone alla mattina a dare fastidio ........ e gioia.
sette giorni di libertà, di vacanza noi da loro e loro da noi.
tutta salute per tutti, mi dico con mia moglie tutti i giorni..........

pronto amore, sono papà.
(Alino)ciao, quando mi vieni a prendere?
Ci vediamo domenica.
quand'è domenica? oggi?
no piccolo, è fra qualche giorno. (groppo alla gola)
vabbè ti passo la nonna.
si ciao, fai il bravo.

pronto amore, ho pensato che forse potremmo dire a tua madre che nel week end andiamo su in campagna a prender i cuccioli.
si, le ho già telefonato. le ho detto che magari potrebbero tornare giù venerdì anzichè domenica.

ecco, appunto, che qui con sto silenzio e sta casa vuota non si sa più come andare avanti e di tutta questa libertà non si sa più che farsene.
sabato portiamo i nostri amori al mare.

sotto l'ombrellone

quando ero un ragazzino, amavo già molto il mondo dei piccoli, ero attento, curioso, interessato.
la spiaggia di camogli era il mio luogo d'osservazione preferito. mi piazzavo sotto l'ombrellone e osservavo.
osservavo quella rimbambita della mia vicina che rincorreva il figlio con la pappa nel piattino emettendo i suoni più idioti e più affascinanti sperando che quel viziato del figlio mangiasse, e lui tiranno che apposta non mangiava.
osservavo quel buzzurro dell'ombrellone dietro che rispondeva al figlio che gli urlava dalla riva "papi guardami" senza avere la compiacenza di insegnargli a avvicinarsi e parlare piano.
ascoltavo quella di dietro che raccontava sconsolata che ogni sera si trovava il figlio piccolo nel letto, ma si capiva perfettamente che le faceva piacere.
inorridivo a sentire le sfuriate di quella sulla battigia - mai vista - che dava una ripassata al figlio urlando e strattondolo per un braccio per portarlo via dall'acqua dove si era cacciato senza permesso.
mi mettevo le mani nei capelli a vedere quell'oca dell'amica di mia sorella che baciava figlio e figlia sulla bocca, mischiando amore materno con gestualità adulte.
quasi mi imbarazzavo ad ascoltare le idiozie che uscivano dalla bocca di un papà - sicuramente boy scout - che con voce scanzonata dichiarava di essere il lupo mangia frutta e voleva a tutti i costi mangiarsi la mela, e dietro a correre, con la sua bella panza, dietro a un nanetto sovraeccitato.

avevo le mie belle idee chiare, rigide, dogmatiche.

poi sono nati samuele e alessandro e, piano piano, ho capito tutto il mondo che c'è dietro l'educazione di un bimbo. un mondo fatto di regole di riferimento che però devono essere mediate, smussate, alleggerite, soppesate, somministrate goccia a goccia, a seconda del momento, dell'età, dell'andamento della vita dei figli e delle vita della famiglia, addirittura a seconda dell'andamento della giornata. è un equilibrismo fatto di piccole sfumature e piccoli movimenti, è una ricetta da farmacista da realizzare con la più precisa delle bilance. e tutti giorni una ricetta diversa, tutti giorni ingredienti diversi, in quantità diversa, tutti i giorni un tono diverso, una parola diversa, un'idea diversa.

e allora può essere che un giorno sia giusto rincorrere il proprio cucciolo con la forchetta, un altro lasciare che urli senza essere sgridato, oppure portarlo ogni tanto nel lettone, o fargli provare l'ebbrezza di averti trascinato nel loro gioco preferito dove tu rincorri la mela che scappa urlacchiando opuure fargli sentire un po' il guinzaglio corto con una bella sganassa sulla guancia se fa troppo il monello.

e poi ci sono le labbrine umide, protese verso di te la sera prima di andare a nanna, che se per caso gli fai sentire l'umido ti senti dire "papi, che schifo" ma che ti danno l'emozione di avere accesso al mondo degli angeli, con gesto semplice e tenero.

quante cose che non sapevo, a Camogli sotto l'ombrellone .......

appuntamento al buio

papiiiiiiiiiiii.
guardo l'ora..... 3.18.........
è il piccolo, a metà notte, mugugna un po', io fingo di non sentirlo.
a volte smette......... mugugna ancora un po' ... si ciuccia il ditino, si grufa la sua nanna ... e si riaddormenta.
se invece chiama, bisogna andare.
ieri sera mettendolo a letto gliel'ho detto. "amore, stanotte la nanna si fa nel tuo lettino". vado lo stesso, lui è già in ginocchio, con le braccia tese e la nanna in mano pronto a farsi portare nel lettone.
"no amore, te l'ho detto, la nan......"
non faccio tempo a finire che si getta nel lettino e urla come un'aquila. "voglio venire nel lettone, .... c'è posto ... lo so"
amore mio.
provo a coccolarlo. è nero. mi dà un paio di gomitate e si rimette a ciucciare piangendo.
sono massiccio, resisto e torno a letto. si rassegna quasi subito.
bip bip bip bip bip
guardo l'ora 7,16. mi alzo, preparo la cola, sveglio il grande, che rugna ma è caldissimo e tenero. lo porto in camaletta giù in cucina, accendo i cartoni, mi faccio la barba, faccio cola con lui, poi denti tutti e due e si esce. lo porto a scuola in moto.
il piccolo ancora dorme. mia moglie lo porta all'asilo alle 9.
lascio samu davanti al cancello, lo guardo camminare con quel casco enorme e quella cartella enorme e mi fa tenerezza vederlo andare da solo.
saluta un grande, sorride ad un amichetto, mi saluta con la mano.
stop. fine della mia dose di figli mattutina.

driiiiiiiiin. "amore, torna in tempo che io tardo".
guardo l'ora: 18,57. ho promesso a mia moglie che la sera torno a casa alle 19 così sto un po' con i cuccioli.
due scemate, ancora una telefonata, poi sulla moto di corsa. arrivo sempre alle 19,30.
dlin dlon dlin dlon. di solito sento il piccolo urlare che vuole aprirmi lui.
niente. silenzio.
apre Samu. "Ale piccolo dorme già io sto giocando con Ale grande (l'amichetto)"
mi cambio, ascolto le novità della suola di Samu, torna mia moglie, facciamo i compiti con lui e poi lo portiamo a nanna.
nel lettino vedo il piccolo, dorme da 2 ore, spaparazzato, caldo, con la boccuccia a cuore. lo bacio, lo annuso, lo ticusso un po' fino a che non si ribella.
poi bacio Samu che è un ometto e dorme subito.
stop. fine della mia dose di figli giornaliera.

chissà che giornata ha passato Alino? chissà cosa ha imparato, se ha pianto o chissà cosa l'avrà fatto ridere, chissà se all'asilo si è divertito, se ha mangiato abbastanza, se ha fatto la cacca e se ha lavato i dentini. chissà che monellate si è inventato, se ha fatto i compitini o piuttosto ha detto alla maestra "Falli tu che io mi stanco", chissà se ha detto "Culo" per farsi notare da Ale grande e da Samu, chissà se ha fatto il rumore dell'orco che assomiglia ad un rutto e tutti trasaliscono quando lo fa, chissà se si è dipinto braccia e gambe col pennarello che va via, insieme alla cuginetta sul pianerottolo, chissà se ha sbagliato pennarello e si è dipinto con quello indelebile, chissà se si è vestito da calcio appena la tata lo ha perso di vista, chissà se ha chiesto mille volte uno "zicchirino" o se ha fatto scene per vedere la cassetta di paperino, chissà se ha scalciato suo fratello per non averlo vicino nel divano o se ha lasciato aperto il freezer 3 minuti per cercare i ghiaccetti rotondi, chissà quanti lividi nuovi ha sulle gambe e quanti graffi sul musetto, chissà se gli puzzicchiavano i piedini e se aveva le unghiette nere, chissà?

non vederlo nè al mattino nè alla sera mi intristisce. mi sento in astinenza, ho bisogno del mio gregge tutto presente e tutto a portata di mano, di occhio, di orecchio, olfatto e soprattutto di coccola.

ora me ne vado a nanna. alle 3.18 ho un appuntamento.

per sempre

rieccomi. dannata alice che non ha funzionato per un secolo.

l'altra sera ho incontrato ad una cena una coppia che aspetta un bambino. erano stupendi, attoniti, inconsapevoli.
le persone che non hanno figli sembrano piccole. piccole nel senso che si usava quando eravamo piccoli. sembrano teneri, inesperti, ancora acerbi, con quell'aria spaurita di chi non sa se è sull'orlo del baratro o dell'infinito.
ho detto loro che li aspetta il periodo più bello della loro vita e li ho trovati sorpresi.
mi hanno detto: finalmente uno che ci dice qualcosa di carino, qualcosa di positivo, qualcosa di speranzoso. dicono tutti "vedrete", "la festa è finita", "ora saranno cavoli vostri".
che idiozia.
ricordo il giorno che è nato mio figlio samuele, ero felice. non me ne importava più niente del mondo. avevo lui in braccio nella saletta dove si fa il bagno e mi sentivo in contatto con l'infinito. ricordo di avergli sussurrato nell'orecchio "ciao amore mio, finalmente sei arrivato" ed in quel momento mi è squillato il cellulare; era mio padre che in vita sua non mi ha mai chiamato al mattino alle 8.15, ma quel giorno l'ha fatto.
"dove sei?".
"sono qui e ho samuele in braccio".
ricordo perfettamente di aver pensato che da quel giorno non sarei più stato lo stesso. ricordo perfettamente di essermi sentito in contatto con l'aldilà, ricordo perfettamente di avergli detto "tu vedi ancora gli angeli, vero?", ricordo perfettamente che qualcuno mi chiese com'era avere un figlio ed io gli dissi: "e' come il primo amore, però sai che sarà per sempre". ricordo che sapevo che avrei imparato subito a toccarlo conoscerlo, a capirlo. ricordo perfettamente che lo annusavo e sapevo che sarei stato un posto sicuro per lui.

stasera, dopo una giornata durissima di lavoro, dove la mia grinta e la mia forza sono state bersagliate da invidie, aggressività, incomprensioni e miserie, sono tornato a casa, ho preso i miei figli in braccio e li ho portati in camera.
poi mettendoli a letto, li ho annusati, abbracciati, morsicati, accarezzati e ho pensato che ora sono loro .... ad essere un posto sicuro per me.

lavori in corso

un giorno, durante una lezione di filosofia dell'educazione il prof. ha chiesto quale fosse per noi la differenza tra la pedagogia e la psicologia.... così .... tanto per fare una domandina facile.
la risposta non arrivò subito.
lui allora cominciò a filosofeggiare che tutti noi rimanemmo a bocca aperta, fino a giugere al potente concetto che una domanda non deve chiamare necessariamente una risposta, una domanda va "abitata". bisogna cioè starci dentro fino a che tutte le possibili risposte non emergono facendo così prendere corpo alla nostra idea di risposta.
figo, mi sono detto !!!!
ammetto di avere anche pensato che a volte la filosofia assomiglia tanto al comico, infatti non sono riuscito a non farmi ritornare alla mente la famosa frase che ho sentito una volta da mio cugino che mi diceva: quando ti senti finito in un tunnel, arredalo.
stupenda anche questa !!!

vabbè, abitando sta domanda da cento kg, le risposte sono cominciate ad arrivare. la più convincente che ho trovato è che la pedagogia sia costruttiva, mentre la psicologia è ricostruttiva.
intendo dire che quando si fa un intervento su base psicologica, molto spesso si interviene per cercare di rimediare ad una distorsione del percorso formativo ed educativo di una persona, mentre quando si parla di un progetto pedagogico si sta cercando di costruire o ipotizzare un percorso formativo ed educativo possibilmente ideale per le persone a cui è dedicato.

in soldoni, tutte le volte che facciamo i genitori e decidiamo su due piedi che cosa dire o non dire, che cosa vietare e che cosa permettere, che cosa consigliare e cosa scoraggiare noi stiamo dando corpo al progetto formativo che abbiamo immaginato per i nostri figli. in quel momento siamo dei pedagogisti.
tutte le volte che cerchiamo di capire che cosa cavolo possa mai essere successo a quel bambino che si fa ancora la pipì a letto malgrado sia grandicello, o a quell'altro che picchia tutti e non riesce a stare attento a scuola, oppure a quello che non riconosce l'autorità o che invece non guarda mai negli occhi il suo interlocutore, in quel momento dobbiamo attingere a conoscenze di psicologia scoprendo poi che le piccole o grandi degenarazioni dei comportamenti dei bimbi (o degli adulti) trovano origine in un percorso pedagogico, fallito, insufficiente oppure semplicemente disattento.

mi sono fatto l'idea che sia molto più utile, per i papà e le mamme normali (e cioè senza velleità o necessità professionali ma solo genitoriali) approfondire temi pedagogici piuttosto che quelli psicologici.
dentro i libri di pedagogia c'è un mondo pieno di speranze e progettualità che travolge ed investe tutti noi quando abbiamo la fortuna di avere dei bimbi, ma verso il quale siamo tanto appassionati quanto impreparati.
lo so che nelle riviste viene sempre voglia di leggere gli articoli dello psicologo nella speranza di capire a cosa sia dovuta qualche nostra deriva mentale, ma vi assicuro che un libro di pedagogia vi farà scoprire dentro di voi un terreno fertilissimo che nemmeno immaginavate.

la figata ora sarebbe avere qualcosa da vendervi ...... hi hi hi ..... qualcuno ci cascherebbe .....

buona ricerca pedagogica.

quanta strada ...

c'è una lunghezza di capelli che detesto. quella intermedia tra il lungo ed il corto.
col casco non stanno a posto in nessun modo.
poi vieni il week end, non uso il casco, lavo i capelli, faccio il phon, mi guardo nello specchio dell'ascensore e mi sembro napo orso capo.
allora mi dico: lunedì vado da maurizio (il mio parrucchiere). poi il lunedì è chiuso, il casco schiaccia tutto, do la colpa a lui del mio stato pietoso e tiro avanti.
memore di questo sabato lo chiamo.
"avete mica un.... uno spazio per me".
maurizio è gentilissimo e omosessualissimo ed io faccio sempre attenzione ai termini che uso quando gli parlo. temo i lapsus freudiani. non perchè abbia pregiudizi, anzi, ma perchè gli omosessuali espliciti mi mettono un po' a disagio. esattamente come i machos espliciti, tutti tatuaggi e muscoli, oppure le femmine esplicite, tutte ammiccamenti e sguardi allusivi.
che ne so .... mi imbarazzo.

vabbè, maurizio non aveva posto, quindi vado da b***, consigliato da un amico. entro, do un'occhiata rapida, mi si fa incontro un omone serio e abbastanza asciutto nel comportamento.
che ne so .... mi sarò rilassato, .... avrò abbassato la guardia ... il suo comportamento mi avrà sviato, dopotutto per fare il parrucchiere non bisogna mica essere obbligatoriamente omosessuali - mi sono detto - ........... fattostà che dalla mia bocca è uscita la seguente frase:

"ciao, ..... avete mica un buchetto per me?"

i tre sguardi che di scatto si sono distolti dal lavoro per indirizzarsi verso di me, con un misto di interesse, ironia e compassione, mi hanno fatto provare un brivido lungo il filo della schiena, terribile.

inutile correggere, inutile tentare di indagare:
mi hanno preso per omosessuale e mi guardano come si guarda uno che ha sbagliato locale? oppure sono tre lupi mannari che non vedono l'ora di allungare i denti sul povero fringuello (....) inesperto?

b*** non fa una piega e indicandomi un collega mi dice: accomodati, ti fa subito lui (... oddio). giro gli occhi e compare luca, che con uno scatto del capo indietro si aggiusta il ciuffo, ... ha gli occhiali rossi e una magliettina nera attillata.

mi sento un povero fringuello.

luca lava i capelli benissimo e li taglia ancora meglio, ha una conversazione piacevole ed alla fine mi dice pure: "sei entrato che eri grigio, ora ti vedo più azzurro".

esco e penso: grazie luca, e scusa l'imbarazzo.

dovrò allenarmi, che ho due figli maschi e non si può proprio esludere a priori che non ci si imbatta in una situazione del genere, anche in famiglia.
ormai lo sanno tutti che non è mica una malattia o una patologia quella.
però quanta strada dobbiamo ancora fare noi papà per essere pronti a sentirci eventualmente dire: "papi, ti vorrei più azzurro" e non trattenere nemmeno una goccia d'amore verso il nostro figlio maschio che ce lo dice!?.

cuore caldo

Simone, passato al vaglio della mia strettissima maglia che setaccia le persone da accettare nella mia sfera affettiva, ha passato anche il vaglio – diverso e più severo – delle persone che mi interessano.
Posso voler bene a molte persone, ma possono interessarmene molte meno, o addirittura altre.

Accolto nel mio mondo, un giorno, l’ho voluto intervistare. Argomento dell’intervista: il suo ricordo del papà perso a quattro anni.
Stavo scrivendo la tesi sull’assenza paterna …. se non è assenza paterna quella!, mi sono detto.
Assenza incolpevole, certo, ma poi chi l’ha detto che l’assenza paterna sia una colpa? E poi, chi l’ha detto che l’assenza paterna configuri “sempre” una colpa?
Infatti l’assenza paterna è spesso l’effetto di una carenza culturale diffusa, quindi spesso è inesatto cercare la colpa nel singolo.
Altre volte, però, l’assenza paterna è semplicemente un caso. Il papà non c’è più.

Ora che Principessa (tre anni) ha perso il suo papà, la mia mente “esperta” di fresco pedagogista, il mio cuore distrutto di amico ed il mio istinto di papà, mi hanno portato a rovistare nei ricordi di quell’ora passata a parlare con Simone, quasi a cercare conforto per il futuro di quell’esserino che oggi, saltellando quasi distratta, è uscita dalla chiesa dove – intelligentemente – è stata portata a porgere l’ultimo delicato e riservato saluto (a fine messa, sola coi parenti) al suo papà che diventava un angioletto.

Che ne sai a tre anni di cosa voglia dire “mai più”? Il tuo orizzonte temporale, a quell’età, è brevissimo. Vuoi qualcosa subito, ti lamenti se non ce l’hai, poi ti distrai, rinunci gradualmente, smetti di chiedere. L’assenza del papà si farà sentire alla lunga, oppure stasera prima di andare a nanna, ma quello passerà subito.
Alla lunga conterà l’atmosfera, il calore e tutto quel reticolato di impressioni, ricordi, reminescenze, richiami, che la famiglia riuscirà a ricreare intorno alla piccola. Del papà bisognerà parlarne, sempre, bisognerà incoraggiarla a parlarne, sempre, bisognerà spiegarle l’uomo che era, l’amore che le regalava, la passione che aveva per lei.
Simone racconta di una sorta di “doppia idealizzazione” del padre che si è realizzata nella sua vita e quindi nella sua mente, nel suo cuore. Quella, cioè, dovuta al fatto che le persone che gli parlavano e gli hanno sempre parlato del padre, hanno – logicamente - sempre voluto rafforzare un’immagine positiva di lui. Lui ha sempre sentito parlare benissimo di suo padre, ha potuto costruire – malgrado la sua assenza – un immagine forte e valida di suo padre e questo ha rappresentato un puntello affettivo forte, una certezza, una sicurezza. Simone, quindi, conosce le sue origini, la qualità della persona che suo padre era, può intuire la direzione che da quel modello discendeva, e quindi seguirla nel suo diventare uomo.
Il secondo livello di idealizzazione rafforzativa è dovuto al fatto che le persone che gli hanno sempre parlato del padre, erano persone che avevano amato quel uomo, quindi all’immagine positiva che arrivava nei racconti, si sommava l’immancabile vena d’amore sottesa in ogni riferimento a lui.

Finita l’”intervista”, ricordo di aver pensato che forse un papà che non c’è più, non sia da considerare un padre “assente”; di certo non lo è come un papà che non sa fare il padre o – peggio - che non vuole fare il padre.

Allora stanotte, dopo tanto soffrire, vado a dormire con la speranza che Principessa avrà il suo papà. Anzi avrà un super papà.
Principessa sarà felice, saltellerà e vivrà felice, perché avrà il cuore caldo. Come il suo papà.


Grazie Simo (c'h.u.s.?).

ciao fabri

"ciao bimbi, papà è tornatooooo"

alino, il piccolo, arriva facendo il rumore della moto, mi corre incontro e mi sferra un colpo nelle palle che mi toglie il respiro. ultimamente fa così. per lui è un modo di giocare.
con un filo di voce dico. "fai piano amore".
samu, il grande, transita urlando inseguito dall'amichetto alessandro detto ale grande, visto che c'è alino (ale piccolo).
un pallone di pezza azzurro mi transita davanti e sfiora il portafoto sacro del matrimonio ed un pennarello nero, sicuramente non lavabile, volteggia rischiando di stamparsi sulla parete bianca.
sussurro "ben tornato...." e non riesco a capire se sono ironico o no.
la tata mi guarda, ride, e con un ghigno tra il furbetto e il disperato mi dice qualcosa tipo "glieli affido".

do una carezza a samu (il grande). "amore mi cambio e poi controlliamo i compiti". tempo a dirlo, il piccolo corre a prendersi un foglio bianco ci scarabocchia un po' sopra e urla "papiiiiiiiiii, sto sbagliandoooooo".
da quando samu ha i compiti, e lo seguiamo mentre li fa, il piccolo è un po' geloso di tutte quelle attenzioni e allora si inventa questo stratagemma del "sto sbagliando" per attirare l'attenzione. è uno spasso.
elaboro: bisogna che mi inventi qualcosina da fare "esclusivamente" col piccolo,

accorro a correggere lo scarabocchio del piccolo, sto un po lì, ancora con la cravatta, ed arriva il grande, col tono delle grandi novità: "papi lo sai che ho l'apparecchio?!" (in realtà un robo di gomma che serve per non ciucciare il dito). "amore, lo so, lo avevi già ieri".
elaboro: samu mi vede così poco che nemmeno si ricorda di cosa abbiamo parlato ieri. e pensare che stasera ho fatto tardi per fare ancora un salto in ufficio, dopo essere stato a milano. ne è valsa la pena?. risposta: no!. vabbè ..

alino si alza, comincia a correre, vuole che lo insegua, urlacchia, alza le braccia, si butta per terra, e ride appena mi vede che lo raggiungo. io corro, faccio rumore coi piedi, gli dico "se ti prendo ...." e lui invece di scappare crolla, ride e cade. "dai mordimi il culetto".
mi guardo "da fuori". mi vedo felice, mi vedo fortunato, lo vedo felice, lo vedo fortunato.
mi sento gli occhi lucidi ma non voglio. mi sento il magone ma non voglio. "davanti ai bimbi no" te l'ho promesso oggi, fabri, quando ho dovuto cominciare a pensarti lassù.
nascondo la faccia nel cuscino del divano mentre faccio la lotta e cerco di non pensarci. te l'avevo promesso.

ma come si fa?
ma come si fa a consolarsi?
ma come si fa a capire una cosa così?
come si può accettare l'idea che la tua bimba non abbia più un papà che la rincorre e tua moglie un marito da salutare la sera al rientro?
come possiamo continuare a farlo noi senza pensarti?

io voglio immaginarti in un mondo pieno di luce nel quale non ci sia lo struggimento che c'è ora quaggiù.
voglio pensarti sorridente e sereno, non triste con le braccia tese verso di noi che ci arrabbattiamo in questo dolore che non capiamo.
voglio immaginarti in un mondo dove il nostro dolore ti sembri un attimo al confronto dell'eternità, dove le nostre lacrime siano un leggero granello di sabbia e dove l'assenza e la lontananza non esistano.
Voglio immaginarti in un mondo di luce dove aspetterai chi ami e resterai per sempre.

noi, per il momento, continueremo a rincorrerci e ad amarci perchè quaggiù, lo sai, si vive di questo.

ciao caro amico.

top 10 anzi top 11

ricambio gli awards ricevuti.

i miei preferiti ultimamente sono questi.
preferiti soprattutto perchè mi preferiscono. mi scrivono. mi leggono. gradiscono quello che scrivo. quindi mi viene voglia di conoscere il loro blog. e la rete si forma.


A fux e laura grazie e bacio.

poi segnalo questi:
la mia madrina mamma per sbaglio

ed il resto dei miei preferiti:
movida69
lemoni
tartablu
chiara
esperimento
nina
the cat is on the table
mommi


tanto è il piacere di ricambiare le gentilezze, tanto la fatica di fare sto robo che compare il nome e cliccandoci sopra entri nel blog.
poi sono pure 11 anzichè 10 .... vabbe.
per la foto dell'award non se ne parla.

Ci vediamo domani

Caro papà,
stasera ho deciso di rispondere ad una domanda che non mi hai mai fatto.
Lo faccio sul blog, (un tempo ti avrei scritto, ricordi?) perché ogni volta che scrivo su questo blog sento i tuoi occhi che mi leggono con pudore, delicatezza, prudenza, quindi in questo blog ci sei anche tu.
Tutto sommato è anche un nostro luogo d’incontro.
Scrivendoti qui mi sembra di rendere omaggio a questo ennesimo canale di comunicazione che ci siamo inventati, di accogliere la tua infinita curiosità che amo, e anche di regalare a tutti coloro che mi leggono, un altro pezzetto di un rapporto padre - figlio.
Stasera il figlio sono io.

Che padre sei stato? (è questa la domanda che non mi hai mai fatto)
Ci sono un milione, un miliardo di risposte, perché sono milioni, miliardi, le volte che ti ho guardato e ti ho valutato, giudicato, misurato ed ogni volta avevo occhi diversi, metri di valutazione diverse, aspettative diverse, necessità diverse. Quindi posso innanzitutto dire che sei stato un padre fortunato perché una lettera così ti va di culo che la scrivo ora che ho 41 anni, due figli e la serenità che mi deriva dall’aver capito, perdonato e forse anche dimenticato quasi tutto, perché se l’avessi scritta in altri periodi burrascosi chissà cosa ne sarebbe uscito. :-)

Sei stato un padre che mi ha amato ma soprattutto sei stato un padre che ha sempre saputo farmi capire che mi amava. Conosci il linguaggio dell’amore. Chi vive con te è fortunato.
Sei stato un padre che ha molto amato, ma soprattutto che non si è mai vergognato di amare, così ho imparato che la felicità è amare, prima di tutto.
Sei stato un padre gioioso, che ha sempre trovato nell’ironia e nello spirito la chiave d’accesso delle persone, abbiamo riso, scherzato, inventato giochi, nomi, riti, favole, battute, modi di sdrammatizzare, di esorcizzare, di risolvere.
Sei stato un padre curioso, capace di stupirsi delle novità, di accogliere le più intricate diversità, di tollerare le più contorte incoerenze. Ho imparato l’ascolto, la cautela, la prudenza, la delicatezza.
Sei stato un esempio. Sempre.
Sei stato un padre coraggioso, che si è avventurato nelle sabbie mobili della parità dei sessi pur provenendo dalle montagne rocciose dell’educazione della nonna Ada. Ho imparato quanta strada andava ancora fatta per poter avere la speranza di arrivare.
Sei stato un padre tollerante che ha saputo far trasparire molto meno di quello che in realtà gli ribolliva nelle vene alla vista delle vie - e a volte delle derive – che percorrevo e affrontavo con beata spavalderia e necessaria incoscienza. Spesso ho detestato quel poco che traspariva, perché un figlio per andare avanti deve odiare, sbattere, vincere, superare, offendersi, vendicarsi, intestardirsi, verificare, non credere, non ascoltare (ma ricordare).
Sei stato un padre mite, e vivere senza aver mai sentito la tua voce alzarsi è stato un piacere, un regalo che hai fatto a tutti noi e che ora sono in grado di fare ai miei figli e a mia moglie, ma sapessi la fatica, la difficoltà, a volte la rabbia, che si prova a non poterti cacciare un urlo o mandarti a quel paese senza che caschi il mondo. Sei permaloso quindi con te si litiga sottovoce. Chissà se ti sono arrivati lo stesso certi silenti vaffan…..!
Sei stato un padre presente perché sapevi come si faceva a farsi sentire nel cuore, sapevi baciare, consolare, accarezzare, accogliere, perdonare, aiutare e sapevi farti trovare sei mi mancavi.
Sei stato un padre assente quelle volte che non hai saputo accorciarmi il guinzaglio, impormi un linea, sbarrarmi la strada e affrontare i miei urli, la mia ribellione, il mio acerbo disordine. L’avrei voluto anche da te. E poi l’ho desiderato quando chi lo aveva fatto fino ad allora se n’è andato via.
Sei stato una roccia a non accorciarmi il guinzaglio, a non impormi una linea, a non sbarrarmi la strada in questi stupendi vent’anni di lavoro insieme. Non l’avrei sopportato.
Sei stato una colonna in questi anni in cui mi hai permesso di vivere l’arrivo dei miei figli e le mie passioni per lo studio regalandomi tempo e serenità. Ora voglio regalarti altrettanto. Stai sereno, ho le spalle larghe.

In fondo, caro papà, a ripensarci, le risposte alla domanda che non mi hai mai fatto non sono milioni o miliardi.
La risposta è una:
sei stato il mio papà, ed è stato bellissimo.
Ci vediamo domani in ufficio.