Il ristorante del velo


A volte penso che fare il genitore sia come fare il cuoco.
Il piatto che porti in tavola deve essere perfetto, gradevole alla vista, azzeccato nel gusto, bilanciato negli accostamenti, giusto di sale. E poi il ristorante deve essere in ordine, accogliente, con una bella atmosfera, una bella luce, pulito, comodo e non troppo caro. Tutti sanno, soprattutto il cuoco, che malgrado le mille attenzioni, è sempre meglio che il cliente non varchi la soglia della cucina. Non perchè si corra il rischio di vedere chissà chè. Non è che nella sua cucina ci sono i topi o c'è una sporcizia tale da fare inorridire un eventuale visitarore! E' piuttosto che, tutto quel rigore e quell'ordine - che un piatto ben servito trasmette - non proviene necessariamente da una cucina perfetta, sterilizzata, impeccabile e linda. Vuoi che non ci sia roba a mezzo? vuoi che non cada qualcosa? vuoi che non scappi un dito nel naso, una goccia di sudore, un mestolo che tocca prima qui e poi là? o qualche cibo sia preso con le mani, scontrato con una manica, appoggiato dove non si dovrebbe?

Diciamo che sarebbe buona norma che una visita alle cucine fosse concessa solo ai clienti ormai affezionati, legati a filo doppio al ristoratore da sentimenti di stima e di amicizia, in modo da far si che ogni piccolo dettaglio fuori posto o ogni piccola crepa nell'integrità igienica della cucina fosse vista con occhio bonario.
Magari con un piccolo preavviso per darsi una rassettata...

I figli allora sono come il cliente di un ristorante.  Le prime volte badano a tutto quello che vedono, sentono, provano. Si formano il gusto di giovani buongustai, seguendo le indicazioni dello chef, esplorando tutte le proposte che la carta offre loro. La varietà delle proposte che riceveranno e l'ascolto ai loro gusti che sentiranno di ottenere dal ristoratore, sarà quello che farà venir loro voglia di continuara a frequentare quel posto e sarà quello che costruirà, piano piano, un termine di paragone, uno standard col quale confronteranno tutto quello che incontreranno in futuro.
Sarebbe inutile e fuorviante far loro visitare le cucine, prima di aver capito quello che quelle cucine hanno saputo produrre, prima di capire che - nel tempo - da quelle cucine, da quegli chef, sono arrivate continuamente ed instancabilmente proposte, risposte, ascolto, occasioni di confronto, di critica, di crescita.

Arriva poi il giorno della curiosità, delle visita alle cucine, del disincanto, della scoperta del fatto che - per fare una pietanza apparentemente semplice e ordinatamente disposta al centro di un piatto pulito - c'è bisogno di tavoli sporchi, coltelli affilati, fumo, vapore, pentole che bollono, padelle che friggono, odori, sudore, mani, stracci che puliscono, parole, liti, discussioni, imprecazioni.

Quel giorno crolla il velo, oppure no. Quel giorno si diventa tutti grandi.
Diventano grandi i figli che hanno la possibilità di capire la fatica che occorre per fare da mangiare tutti i giorni e che la fatica a volte ha cattivi odori, ha pessimi rumori e fa fare brutti errori, ma il piatto quando esce dalla cucina è (quasi) sempre impeccabile. Accidenti! Che miracolo!.
Diventano grandi i genitori che, anche se hanno qualche piccolo topo morto in un angolo, si rendono conto che forse tutto quel pandemonio di cucina che temevano di far visitare, non era poi così male e che il fatto di essere riusciti a far uscire piatti (quasi) sempre impeccabili ha prodotto clienti legati a filo doppio al ristorante.
Per fortuna! Che fatica! 

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2 commenti:

lemoni ha detto...

Scrivi proprio bene...soprattutto il punto di vista di un papà è espresso con tenerezza e lucidità. Vorrei che ti leggesse mio marito...prenderebbe tanti spunti per il suo rapporto con i bambini che a volte non gli riesce proprio spontaneamente.
A rileggerti presto.
Lemoni

FEDERICO GHIGLIONE ha detto...

Grazie. Ogni tanto una parola di apprezzamento fa piacere. A presto. F