non togliermi il sorriso

ho avuto un professore di pedagogia generale che mi ha affascinato e influenzato in maniera indelebile.
la metafora più limpida che utilizzava per discutere sulla educazione e sulla formazione dell'uomo era quella del "centro" secondo la quale l'uomo stava appunto al centro di un cerchio che diventava via via più ampio tanto più aumentava la sua capacità di rapportarsi in maniera fattiva con il prossimo (e quindi "educarsi") e tanto più era capace di elaborare e far sedimentare dentro di se tutto il materiale frutto di questa interazione, del proprio studio, del proprio pensiero (e quindi di "formarsi").
la metafora poi si arricchiva quando si parlava della fertile tensione che si sviluppa nell' uomo in formazione il quale - malgrado sia istintivamente proteso a rafforzarsi verso il proprio centro - subisce forze che lo allontanano da questo tutte le volte in cui entra in contatto con altri mondi, con altre persone, con altre possibilità formative.
l'uomo in formazione vive quindi una dimensione di continua instabilità che, se da una parte gli fa percepire l'angoscia della perdita frequente del proprio centro, dall'altra gli permette di percorrere una traiettoria formativa ricca, appagante, di infinita crescita - per tornare alla metafora - di ampliamento del proprio cerchio.

ecco, quello che sta accadendo a me, penso possa riferirsi a questo processo formativo che faticosamente cerco e affannosamente provo a realizzare.

parlare sul mio blog - quindi pubblicamente - della sberla data a mio figlio piccolo e cercarne le motivazioni è un tentativo - forse inconscio - di ampliare il mio mondo di padre, di mettere in discussione ciò che dentro me sento stonare, di mettermi in discussione come uomo e come padre.

la rabbia che mi hanno suscitato gli interventi da parte degli amici di nontogliermiilsorriso.org è senz'altro il grido di dolore che si sente quando qualcosa, qualcuno ti porta fuori dal tuo centro.
"ma come?!" - mi sono detto e ho detto a mia moglie - "ma come possono delle persone che nemmeno mi conoscono e nemmeno hanno letto il mio blog, dire che io picchio mio figlio?"

mi sono offeso, per i modi, per il tono, per i paragoni usati, per l'allusione a fatti che non ho commesso ne commetto, per l'invasione smodata, per l'assenza di domande chiarificatrici, per essere stato classificato violento, per mille altre cose.
ho perfino fatto un copia\incolla di tutte le frasi alle quali avrei voluto rispondere a tono.

poi mi sono fermato.
eh si, perchè io funziono così. mi conosco. so che quando una cosa mi fa arrabbiare moltissimo vuol dire che è giunto il momento di passarci attraverso e non di girarle le spalle.
allora ho riletto ogni singola parola che mi è stata scritta. senza pregiudizio, senza rabbia, senza giudizio.
ho semplicemente ascoltato.
finalmente, senza rabbia, ho sentito.

forse questa invasione è stata un dono. forse posso fare un giro dentro me stesso e rivedere qualcosa.
io non picchio i miei figli. lo so io e lo sanno loro. ma quel poco o tanto che può essere una (rarissima) sganassa porta comunque con se, dietro di se, dentro di se, un mondo che ho bisogno di visitare, perchè - ammetto e mi costa farlo con me stesso - non lo conosco.

sono un nuovo iscritto di nontogliermiilsorriso.org

sono momentaneamente fuori dal mio centro, ma il mio cerchio si allargherà.

i mondi

mi sto domandando se davvero il mondo delle persone che sanno quello che fanno coi loro figli si divida in due: quelli che per scelta consapevole non sfiorano nemmeno con un dito i loro figli (per esempio mia sorella) oppure quelli che per scelta consapevole utilizzano le "sganasse" per dare determinati segnali (mia moglie ed io).

dicesi "sganassa" il vecchio caro "manrovescio" della nonnna Gina, cioè la sberlotta carica di significato simbolico e completamente priva di "contenuti" fisici. in sostanza il buffetto che fa capire che le parole e la pazienza sono finite, che la misura è colma, che si sta esagerando, che è giunto il momento di smetterla, che non si può più continuare su quella frequenza, insomma il gesto che mortifica momentaneamente ma non fa male. non deve fare male.

il post precedente - che mi ha fatto sentire il gestore di un forum vivo e interessante e mi ha ripagato della fatica con cui ho costantemente centellinato i post per cercare di scrivere solo quando avevo qualcosa di mio da raccontare che nel contempo "dicesse qualcosa" a tutti - cerca di parlare proprio del problema che investe tutti i genitori nel momento in cui "somministrano" gesti educativi ai loro figli e faticano ad trovarne la misura giusta, nel disperato tentativo di raggiungere il miglior risultato, facendosi largo tra mal di testa, frustrazioni, malumori, stanchezza, fatica, voglia di essere alle maldive, voglia di cambiare lavoro, voglia di far fuori un collega, problemi coi condomini, mal di schiena e altre amenità. il racconto è la fotografia dello stato d'animo di chi sa cosa è bene per i suoi figli, ma non rinuncia a monitorare se stesso ad ogni gesto, ad ogni incrocio, ad ogni sovrapposizione della propria vita con quella dei propri figli; è il racconto di chi, in questo continuo vigilare scorge nel prorpio operato errori di apprensione, errori di irruenza, errori di stanchezza, errori di distrazione, errori che non vorrebbe mai commettere ma ahimé .....

letti i numerosi commenti al post precedente - che come mai prima d'oggi mi hanno fatto essere fiero di scrivere in sta pagina blu che credevo muta - mi sono rafforzato nella convinzione che il mondo non debba essere diviso fra quelli che "danno sberle" (anzi botte) e quindi sbagliano e quelli che invece non toccano i figli (anzi non li picchiano) e quindi sono buoni educatori.
il mondo dei genitori si divide in chi è consapevole di ciò che fa con e per i propri figli e chi non lo è.

chi dà botte non è persona consapevole di ciò che fa con e ai propri figli.

la consapevolezza è la conoscenza dei gesti educativi necessari al proprio figlio del quale si conosce meglio di chiunque altro la storia formativa, unita alla conoscenza delle capacità ricettive che il figlio ha di tali gesti.
ogni gesto educativo è fatto da un codice di emissione del segno (nel genitore) e da un codice ricettivo (nel figlio). sta al genitore la responsabilità di valutare tutti e due.

se è come dico, allora forse si può fare una valutazione di tutto il percorso educativo nel suo insieme, valutando le infinite componenti che la compongono e che - tutte insieme - ne decretano il suo successo.
educare è il frutto di un infinito insieme di segni che ciascuna coppia di genitori trasmette consapevolmente e da un altrettanto vasto insieme di segni che trasmette inconsapevolmente.
la sganassa data o non data, o meglio utilizzata o non utilizzata, diventa uno dei mille tasselli che strutturano questo percorso, non IL TASSELLO fondamentale. sono sicuro che negli stili che non la utilizzano ci sarà qualcosa di equivalente che ne so un urlo, una punizione, un "non parlarsi", un distacco emotivo, ma il risultato sarà sempre lo stesso.

quindi, cari amici, forti di queste mille incertezze, mettiamoci al lavoro, che c'è un sacco da fare e soprattutto restiamo in contatto che il confronto è un gran educatore.

Tuning

mezzanotte, vado a nanna. prima però il saluto ai cuccioli. carezzo il viso di samu, con lo stesso gesto delicato con cui lo sveglio tutte le mattine. mugugna un po' e si gira.
poi vado dal piccolo, nel suo lettone alto ikea, appoggio il viso sul cuscino, a fianco al suo e sto lì di fronte al suo musetto ad ascoltare il suo respiro, ad annusarlo.
guardo la sua guancetta, è ancora rossa. ci appoggio le labbra, è caldina. mi sento morire, povero piccino, la sberlotta che gli ho ammollato questa sera è ancora tutta lì.
lo guardo e mi sento stringere il cuore. vorrei che una formula matematica mi dicesse se sommando la validità - in cui credo - di uno schiaffo che interrompe le parole ragionevoli e stabilisce uno sbarramento invalicabile e sottraendo quel malsano carico di stanchezza è poca pazienza che ha fatto scattare lo schiaffo un po' troppo presto e un po' troppo forte, il risultato è stato positivo o negativo.

vorrei svegliare il piccolo per dirgli che gli voglio bene e che queste cose i papà e le mamme le fanno non per stizza o per nervosismo ma perchè dietro c'è un disegno, un progetto che vuole farli diventare degli ometti in gamba.
vorrei svegliarlo e scusarmi perchè, ora che sono più sereno e più calmo, mi viene il sospetto che quella sganassa rifilata durante il capriccio del lavaggio dentini non è partita da quel progetto ma da una fitta fortissima alla tempia che il suo urlo mi ha fatto venire sommandosi al mio malditesta.
vorrei svegliarlo e scambiare con lui qualche bacio per confermare a lui e a me stesso che anche se tutti e due sappiamo che quella sberla era sacrosanta e andava data, a tutti e due è sembrata anche un po' sbagliata e allora ci vorrebbe una approfondita sessione di baci per azzerarne gli effetti negativi e salvare solo quelli positivi e dirci ancora una volta - la milionesima - "ciao bel papà" "ciao bello amore".

avvicino le labbra al suo nasino glielo stringo un po'. lui si stropiccia, si caccia il ditino in bocca e comincia a ciucciare.

rovisto nella memoria e mi ricordo che c'era un tale che diceva che i bambini non hanno bisogno di papà e mamme perfette ma di papà e mamme che sbaglino e poi correggano i loro comportamenti e che è in questo lavoro continuo di sintonizzazione che si costruisce il valore del rapporto genitori\figli.

vabbè vado a letto va..... aggiusto le copertine .... do ancora un'annusatina .... domani si riparte.