quanta strada ...

c'è una lunghezza di capelli che detesto. quella intermedia tra il lungo ed il corto.
col casco non stanno a posto in nessun modo.
poi vieni il week end, non uso il casco, lavo i capelli, faccio il phon, mi guardo nello specchio dell'ascensore e mi sembro napo orso capo.
allora mi dico: lunedì vado da maurizio (il mio parrucchiere). poi il lunedì è chiuso, il casco schiaccia tutto, do la colpa a lui del mio stato pietoso e tiro avanti.
memore di questo sabato lo chiamo.
"avete mica un.... uno spazio per me".
maurizio è gentilissimo e omosessualissimo ed io faccio sempre attenzione ai termini che uso quando gli parlo. temo i lapsus freudiani. non perchè abbia pregiudizi, anzi, ma perchè gli omosessuali espliciti mi mettono un po' a disagio. esattamente come i machos espliciti, tutti tatuaggi e muscoli, oppure le femmine esplicite, tutte ammiccamenti e sguardi allusivi.
che ne so .... mi imbarazzo.

vabbè, maurizio non aveva posto, quindi vado da b***, consigliato da un amico. entro, do un'occhiata rapida, mi si fa incontro un omone serio e abbastanza asciutto nel comportamento.
che ne so .... mi sarò rilassato, .... avrò abbassato la guardia ... il suo comportamento mi avrà sviato, dopotutto per fare il parrucchiere non bisogna mica essere obbligatoriamente omosessuali - mi sono detto - ........... fattostà che dalla mia bocca è uscita la seguente frase:

"ciao, ..... avete mica un buchetto per me?"

i tre sguardi che di scatto si sono distolti dal lavoro per indirizzarsi verso di me, con un misto di interesse, ironia e compassione, mi hanno fatto provare un brivido lungo il filo della schiena, terribile.

inutile correggere, inutile tentare di indagare:
mi hanno preso per omosessuale e mi guardano come si guarda uno che ha sbagliato locale? oppure sono tre lupi mannari che non vedono l'ora di allungare i denti sul povero fringuello (....) inesperto?

b*** non fa una piega e indicandomi un collega mi dice: accomodati, ti fa subito lui (... oddio). giro gli occhi e compare luca, che con uno scatto del capo indietro si aggiusta il ciuffo, ... ha gli occhiali rossi e una magliettina nera attillata.

mi sento un povero fringuello.

luca lava i capelli benissimo e li taglia ancora meglio, ha una conversazione piacevole ed alla fine mi dice pure: "sei entrato che eri grigio, ora ti vedo più azzurro".

esco e penso: grazie luca, e scusa l'imbarazzo.

dovrò allenarmi, che ho due figli maschi e non si può proprio esludere a priori che non ci si imbatta in una situazione del genere, anche in famiglia.
ormai lo sanno tutti che non è mica una malattia o una patologia quella.
però quanta strada dobbiamo ancora fare noi papà per essere pronti a sentirci eventualmente dire: "papi, ti vorrei più azzurro" e non trattenere nemmeno una goccia d'amore verso il nostro figlio maschio che ce lo dice!?.

cuore caldo

Simone, passato al vaglio della mia strettissima maglia che setaccia le persone da accettare nella mia sfera affettiva, ha passato anche il vaglio – diverso e più severo – delle persone che mi interessano.
Posso voler bene a molte persone, ma possono interessarmene molte meno, o addirittura altre.

Accolto nel mio mondo, un giorno, l’ho voluto intervistare. Argomento dell’intervista: il suo ricordo del papà perso a quattro anni.
Stavo scrivendo la tesi sull’assenza paterna …. se non è assenza paterna quella!, mi sono detto.
Assenza incolpevole, certo, ma poi chi l’ha detto che l’assenza paterna sia una colpa? E poi, chi l’ha detto che l’assenza paterna configuri “sempre” una colpa?
Infatti l’assenza paterna è spesso l’effetto di una carenza culturale diffusa, quindi spesso è inesatto cercare la colpa nel singolo.
Altre volte, però, l’assenza paterna è semplicemente un caso. Il papà non c’è più.

Ora che Principessa (tre anni) ha perso il suo papà, la mia mente “esperta” di fresco pedagogista, il mio cuore distrutto di amico ed il mio istinto di papà, mi hanno portato a rovistare nei ricordi di quell’ora passata a parlare con Simone, quasi a cercare conforto per il futuro di quell’esserino che oggi, saltellando quasi distratta, è uscita dalla chiesa dove – intelligentemente – è stata portata a porgere l’ultimo delicato e riservato saluto (a fine messa, sola coi parenti) al suo papà che diventava un angioletto.

Che ne sai a tre anni di cosa voglia dire “mai più”? Il tuo orizzonte temporale, a quell’età, è brevissimo. Vuoi qualcosa subito, ti lamenti se non ce l’hai, poi ti distrai, rinunci gradualmente, smetti di chiedere. L’assenza del papà si farà sentire alla lunga, oppure stasera prima di andare a nanna, ma quello passerà subito.
Alla lunga conterà l’atmosfera, il calore e tutto quel reticolato di impressioni, ricordi, reminescenze, richiami, che la famiglia riuscirà a ricreare intorno alla piccola. Del papà bisognerà parlarne, sempre, bisognerà incoraggiarla a parlarne, sempre, bisognerà spiegarle l’uomo che era, l’amore che le regalava, la passione che aveva per lei.
Simone racconta di una sorta di “doppia idealizzazione” del padre che si è realizzata nella sua vita e quindi nella sua mente, nel suo cuore. Quella, cioè, dovuta al fatto che le persone che gli parlavano e gli hanno sempre parlato del padre, hanno – logicamente - sempre voluto rafforzare un’immagine positiva di lui. Lui ha sempre sentito parlare benissimo di suo padre, ha potuto costruire – malgrado la sua assenza – un immagine forte e valida di suo padre e questo ha rappresentato un puntello affettivo forte, una certezza, una sicurezza. Simone, quindi, conosce le sue origini, la qualità della persona che suo padre era, può intuire la direzione che da quel modello discendeva, e quindi seguirla nel suo diventare uomo.
Il secondo livello di idealizzazione rafforzativa è dovuto al fatto che le persone che gli hanno sempre parlato del padre, erano persone che avevano amato quel uomo, quindi all’immagine positiva che arrivava nei racconti, si sommava l’immancabile vena d’amore sottesa in ogni riferimento a lui.

Finita l’”intervista”, ricordo di aver pensato che forse un papà che non c’è più, non sia da considerare un padre “assente”; di certo non lo è come un papà che non sa fare il padre o – peggio - che non vuole fare il padre.

Allora stanotte, dopo tanto soffrire, vado a dormire con la speranza che Principessa avrà il suo papà. Anzi avrà un super papà.
Principessa sarà felice, saltellerà e vivrà felice, perché avrà il cuore caldo. Come il suo papà.


Grazie Simo (c'h.u.s.?).