tuo, Pisel.

chissà se Caropallo era felice?
me lo sono sempre chiesto. da quando ho cominciato a confrontarmi con lui, da uomo, intendo.
chissà se dietro tutto quel parlare, scherzare, interpretare la parte che più gli piaceva, quella dell'ironia, della battuta pronta, dell'ascolto pronto alla ribattuta, c'era spazio per sentirsi davvero felice.
chissà se la sera, solo, era contento di aver portato a termine il suo più grande progetto, di aver evitato la cosa che più lo preoccupava e cioè non instaurare rapporti di profondo amore con chicchessia senza però restare solo.
chissà se riusciva davvero a vivere in equilibrio fra i molti amici che aveva e i pochi amori ai quali si concedeva.
chissà se - poi - tutto questo scappare dall'amore, responsabile di avergli fatto perdere il padre, stroncato dal dolore per la perdita della madre, lo ha davvero tutelato, difeso, reso immune dal dolore o addirittura reso felice.
per mille mercoledì sera - da piccolo - ho atteso che arrivasse a cena da noi, come si aspetta che si aprano le tendine del teatrino, ho ascoltato a bocca aperta i suoi racconti di fidanzate scelte per i menù cucinati, per i colletti stirati e per la capacità di dileguarsi una volta terminata la serata.
per anni ho ascoltato le superscazzole inventate per prenderci in giro, per farci ridere, per mischiare il serio col ridicolo, ed ho imparato a conoscere punti di confine tra l'educazione e l'ironia, tra la forma e la sostanza, tra il raccontabile e l'indicibile, tra la franchezza e l'incoffessabile.
Caropallo scappava dall'amore, ma il mercoledì sera, per anni, veniva a fare il pieno d'amore a casa nostra, a respirare l'aria della vita che aveva deciso di non vivere, dalla quale aveva deciso di scappare.
eravamo i figli che non aveva voluto ma che poteva amare lo stesso senza controindicazioni, la moglie che forse sognava e che poteva ammirare senza paura di trovarsela davanti a casa con le valigie, l'amico che non lo giudicava per le giacche improbabili o le scarpe della Postalmarket, presso il quale poteva rifugiarsi con serenità.
Entrava in casa e mia madre lo coccolava e lo abbracciava: "Ciao caro Paolo". Fu un attimo sentirsi chiamare Caropallo da due cucciolotti innamorati e ammirati quali eravamo io e mia sorella.
Da lì il suo nome non cambiò più. Addirittura un giorno una letterina d'amore di mia sorella - forse una lettera dall'estero - cominciò con "Carissimo Caropallo". Fu bellissimo, anche per lui. L'amore l'aveva raggiunto.
Caropallo non sapeva far coccole, nè baciare, e forse neppure fare regali. non gli si poteva saltare in braccio, arruffare i capelli e nemmeno era gradito fare chiasso o chiedere di giocare.
Caropallo si doveva solo ascoltare, ma con attenzione, perchè la suprescazzola e lo scherzo erano dietro all'angolo e caderci era un attimo.
Caropallo raccontava di mille amanti, più o meno una per ogni giorno della settimana, ma nessuna più di un giorno, organizzava feste a casa sua piene di gente, faceva sport ed era sempre il centro organizzativo di tutto e poi c'era l'organizzazione della sua solitudine, fatta di freezer riempiti dalle sue "fantesche" o da qualche nuova conquista in cerca del suo punto debole.

Caropallo non parlava mai d'amore.

Poi siamo diventati grandi e del gioco e degli scherzi è rimasta solo una lieve traccia, sempre richiamata, sempre rievocata, come punto di convergenza delle nostre vite, ma è subentrato l'ascolto.
Caropallo sapeva ascoltare, sapeva connettersi alla tua vita con l'intensità che solo chi conosce ogni virgola della tua vita può fare, e solo chi ha studiato per anni ogni tuo battito di palebra può essere in grado di fare.
In tutti quegli anni passati a parlare solo lui, aveva tenuto gli occhi aperti, le orecchie tese, il cuore pronto e quando è stato il momento delle scelte adulte, i suoi mercoledì sera - più radi - sono diventati un momento in cui era possibile "consegnare" ad un testimone della nostra crescita, lo scorrere della nostra vita.
e i commenti erano caldi, attenti, arguti, fini, perchè Caropallo, che non era un papà, non era un fratello, non era un zio, per noi - solo per noi - aveva aperto una porticina della sua fortezza e aveva lasciato che un po' di amore si intrufolasse.
e una sera, a noi - solo a noi - di fronte alle nostre famiglie e a nessun altro, raccontò di suo padre e di sua madre, facendo finta di raccontare una cosa casuale. non c'era niente di casuale.
quella sera Caropallo ci ha voluto proprio dire perchè non ha avuto il coraggio di scegliere l'amore come tuttti noi stavamo facendo ed avevamo fatto. quella sera - solo a noi - ha fatto capire che tutte le parole d'amore sentite in casa nostra, le aveva capite benissimo e se ne era cibato.
quella sera ho avuto la conferma di quanto nel fondo del mio cuore ho sempre saputo e cioè che tutte le battute, le superscazzole, gli scherzi, le paste portate in numero sbagliato, i pomeriggi allo stadio a vedere il Genoa, gli aperitivi della casa bevuti a casa sua a raccontargli la mia vita, il suo perseverare a chiamarmi Pisel come a 6 anni, anche se ne avevo 43, erano le sue parole d'amore e io non me ne sono mai persa una.

ciao Caropallo, stasera ho il cuore piccolo piccolo, ..... si il cuore, quello che non nominavi mai se non perchè ti costringeva ad andare in cyclette; .... no, non quello rossoblù che tifava Genoa,........ dai ora puoi dirmelo, quello con cui ci amavi, mi amavi, quello che ti ha tenuto stretto a noi per tutta la vita.

ora, almeno, so per certo che sei felice.

ciao Caropallo. tuo, Pisel.