una lustratina

Sono a tavola, finalmente a casa dopo una giornata fuori. Fuori da casa, fuori dalla famiglia, a volte anche fuori da me. Vabbè, lasciamo stare.
finalmente a casa, di nuovo “dentro”. Dentro a tutto, soprattutto dentro me…… Ho detto che lasciavo stare. Vabbè.
Siamo a tavola, Samu è un uragano di parole, risate, ruvidità nuove, imparate chissà da chi, chissà dove. Usa toni non suoi, non nostri, parole esagerate, smorfie un po’ maleducate, gesti bruschi, un po’ aggressivi. E’ come se fosse sporco. Se il suo corpo ha bisogno tutti i giorni di una doccia perché si è rotolato in mezzo a banchi, pavimenti, giardini, la sua testolina ogni giorno ha bisogno di una “lustratina” correttiva.
Mi si rivolge con fare strafottente, risponde male a una mia richiesta, fa un mugugno di insofferenza quando gli dico di andare lui a prendere l’acqua.
Campanello d’allarme.
Alt. Fermi tutti.
Lo guardo, fisso, lui prova a ridacchiare.
Lo continuo a guardare finchè non capisce. Si ammutolisce, abbassa un po’ gli occhi, mi sussurra “che c’è?”.
C’è che questo modo di fare non va bene, Samu, se è così che vi parlate a scuola con i tuoi amici a me non interessa. Così non si parla a un grande. Io non sono un tuo amico, ti è chiaro questo concetto?.
Attimo di silenzio, occhi suoi ancora più bassi.
Io lo fisso intensamente, serio e risoluto, e mentre lo faccio ripenso a quello che ho detto. “io non sono un tuo amico”.
Mi si chiude lo stomaco, rimango ancora zitto e ancora gli tengo lo sguardo piantato addosso.
Stiamo elaborando tutti e due questo nuovo concetto che ha fatto irruzione nel nostro rapporto.
Io taccio ancora. Non c’è nulla di più efficace di un bel silenzio dopo una frase incisiva. E poi non avrei fiato per dire altro, sono troppo impegnato a trattenere il panico e la vertigine di sapere di avere fatto la cosa giusta ma di avere dentro, malgrado tutto, una parte di me che si strugge al pensiero di aver dovuto ferire così seccamente quel fiorellino tenero che Samu ha al posto del cuore. Ma si che sono tuo amico, amore mio, ti amo, ti adoro, sei la mia vita …. vorrei dirgli.

Gli occhi fermi su di lui, la mia mente corre affannosamente a scartabellare in tutti i libri di psicologia dello sviluppo, le lezioni di pedagogia generale, le riflessioni e le certezze che mi sono costruito in anni di esperienza e di studio per arrivare all’istintiva certezza che in quel momento era giusto fare così.
Gli occhi fermi e sicuri su di lui e dentro di me una voce implorante che chiede a chissà chi “ho fatto giusto vero???”.

Educare è avere il coraggio di arrecare la “ferita” nell’amor proprio dei propri figli, ed è attorno alla fatica necessaria a cicatrizzare questa ferita che si costruirà una personalità forte e sicura di se. Caz** l’ho scritto sulla tesi!!!.

Io non mi sento “amico” dei miei figli. Mi sento molto di più. Io devo indicar loro la strada, devo dar loro spiegazioni sui significati della vita, devo insegnar loro il mondo, devo essere per loro “il mondo”, devo essere la loro base sicura da cui partire, la loro isola su cui poter approdare e contare, devo essere il guardiano instancabile che non smette mai di vigilare e correggere.

Ho ancora gli occhi su di lui, raccolgo le forze e riesco a trovare ancora un po’ di tono per dire severamente: “che bambino vuoi diventare?”.

Passano due minuti di silenzio. Mangiamo, distrattamente. Fa un sorrisino, versa l’acqua al suo fratellino. E’ di nuovo lui. La mia mano corre a toccarlo, accarezzarlo, a far pace. Lui struscia la sua capoccetta bionda sulla mia mano.
Ci vogliamo ancora bene, e siamo cresciuti un po' tutti e due.

fanculo l'azionista

oggi no ce l'ho fatta.
quando avevo fissato un appuntamento da un collega che ha gli uffici vicino alla mia (ex)università, ex da due mesi, avevo avuto le prime avvisaglie. visitina preventiva al sito della facoltà, pagina degli orari, un piccolo post-it con l'orario delle lezioni del prof. Mario Gennari, lì, incollato con disattenzione nell'interno del portafoglio. Pedagogia generale 1 - ore 11,15.

poi l'appuntamento, importante, alle 9, tutti concentrati su una decina di contratti da rinnovare, (faccio l'assicuratore). buon ritmo di lavoro fino a che finalmente portiamo a termine i lavori. guardo l'ora, 11,07. che faccio vado? do buca all'ufficio e mi imbosco fino all'una? non è una cosa da niente perchè una lezione di Pedagogia Generale con Gennari non passa come l'acqua. Non esci come sei entrato, potresti uscirne un po' meno solido rispetto alle intenzioni (e alle promesse alla moglie) di non iscriverti al biennio di specialistica in Pedagogia generale. Potresti uscire con strane idee in testa, che so meno voglia di lavorare e più voglia di studiare, oppure potresti uscire in lacrime (mi è successo) oppure così assorto nei problemi della formazione e l'educazione dell'uomo da non riuscire a essere più sufficientemente sulla terra per affrontare di nuovo l'ufficio.
oppure potresti uscire con una voglia matta di non smettere mai più di provare questa fanatastica e appagante sensazione di energia che lo studio dà. quella inebriante fregola che prende quando senti il cervello che finalmente funziona, e con lui si muove anche il cuore, le viscere. e ti dici: bello questo posto dove vale se il cervello gira e con lui cuore e viscere. e poi ti dici anche: io non voglio andare in quell'altro posto dove le persone a cui vendo polizze non vogliono comprarle (malgrado ne abbiano un fottuto bisogno) e dove le persone per le quali le vendo (i capi della mia compagnia) non gliene frega niente se le vendo con un po' di coscienza oppure se le condizioni economiche che mi impongono per venderle sono sempre meno premianti per me. a loro gliene fotte solo del loro budget e dell'azionista.
io l'azionista lo odio.
stento a credere che sia un uomo. è un entità alla quale frega un caz** dell'uomo che io sono.

alla pedagogia invece frega soltanto dell'Uomo, e nel luogo dove si studia la Pedagogia frega molto dell'uomo che sono o cerco di essere.

a quel fantasma dell'azionista vorrei dire che ogni mattina mi alzo e vado in ufficio per me stesso, per guadagnare i soldi per la mia famiglia, per il piacere di incontrare e vivere con le persone con le quali lavoro (che oltretutto vedo più ore di quante ne possa dedicare alla persona che amo e ai miei figli) e per qualche sparuto cliente col quale c'è stima e rispetto reciproci. all'azionista vorrei dire che di lui non me ne frega niente. e odio questi sfigati di manager che parlano, per suo conto, con termini inglesi che non hanno capito fino in fondo e che hanno anestetizzato ogni loro pensiero e ogni loro scampolo di umanità. che ogni giorno commettono un sopruso, consumano una minaccia, organizzano una campagna di vendita truffaldina o furbesca. li disprezzo e vedo in loro quella cieca ed idiota mancanza di obiettività e di personale coscienza del mondo che, in maniera enormemente maggiore, avevano i capi nazisti: mi hanno detto di farlo, questi sono gli ordini, mi pagano per farlo e non per discutere.
sono persone orrende.
passare anche un solo incontro con uno di loro impoverisce la mia umanità e temo sempre che la comprometta per sempre.
stare anche una sola ora vicino a loro mi fa sentire contagiato. ogni parola che escogito per trovare un dialogo con loro è un passo di allontanamento dall'uomo che vorrei essere, dalla mia consistenza.

allora ogni tanto devo fuggire a sentire il professor Gennari che parla dell'uomo che si forma e si educa, l'uomo che si pensa e si trasforma, l'uomo che trova il suo centro al cospetto dell'altro, all'uomo che lascia che il mondo entri dentro di se per poi guardarsi e trovarsi diverso, nell'eterna instabilità e provvisorietà del movimento che lo porta dall'uomo che era verso l'uomo che vorrebbe fortemente essere. perchè l'uomo non è altro che la tensione verso l'uomo che ognuno di noi vuole, sogna e aspira ad essere.

l'azionista invece è uno stronzo in poltrona che legge i dati della borsa.
fanculo.

due paradisi

Gli occhi di Samuele (oggi 6 anni) quando lo lasciavo all’asilo erano eccitati. Non facevo tempo a mettergli il grembiulino che scattava verso l’aula piena di amici, verso tutti quei giochi, tutte quelle novità, tutte quelle emozioni. Amore mio dagli occhi felici! Lui, primogenito, cresciuto nel silenzio, nell’esclusiva, nel tutto e tutti per lui, nel mezzo di una mega famiglia allargata formata dall’unione di due famiglie allargate, con 6 nonni, 4 bisnonni, amici, zietti, abituato da sempre ad amoreggiare con ciascuno dei suoi mille parenti, per conquistarsi le attenzioni, i regali, gli inviti a dormire, i vizi. Ma innamorato dei suoi giochi, capace di giocare da solo, felice e sereno nel suo silenzio.

Gli occhi di Alessandro (3 anni) quando lo lascio all’asilo, sono gli occhi di chi ha appena imparato a non piangere più quando mi allontano. “io non piangio più pecchè sono gande”. Però sul saluto ha sempre un sussulto, un attimo di intima disperazione. Amore mio, tenero e affettuoso!. Mi rincorre, con una smorfietta per incuriosirmi e convincermi a restare ancora un attimo, avvicina la mano alla bocca e mi sussurra all’orecchio. “Dimmi un segreto”. Ed io invento la cosa più banale che c’è ma che contenga parole chiave per lui: “la tua moto blu, i tuoi giochi, li nascondo nel mio cappotto e non li faccio vedere a nessuno, e quando torno a casa te li do, ma non dirlo a nessuno, è un segreto. Ti voglio bene”. E lui sussurrando a voce alta: “Si, va bene” e protende le sue labbrine umide verso le mie. E’ fatta. Posso andare. Lui, secondogenito, nato nel rumore, nel gruppo, abituato a stare in case affollate, uno di quattro, abituato a dividere le attenzioni di mamma e papà col fratellino, ma proprio per questo felice solo quando ci siamo tutti, quando c’è scambio, confusione, lite, rissa, presenza di … qualcuno, rumore. L'asilo è qualcosa della quale lui farebbe volentieri a meno. Lui vuole noi.

Gli occhi di Samuele quando arriva una persona nuova sono schivi. Lui ha il suo universo e da li guarda il mondo con attenzione, con tempi lunghi, con iniziale sospetto e apparente disinteresse. E’ timido. Ti scruta, ti studia e dopo un po’ quando ha letto i tuoi modi, il tuo linguaggio, i tuoi movimenti, piano piano si avvicina. Sembra dire. “chi è che disturba la mia privacy?”In questi anni ho visto gente fare breccia nel suo interesse e gente fallire miseramente. Generalmente i fallimenti sono stati quelli delle persone invadenti. Samuele è uno che ti sceglie e non vuole essere scelto.

Gli occhi di Alessandro quando compare una persona nuova in casa sono gli occhi del satanasso. Per lui la casa più diventa un bazar meglio è. E giù corse, urli, risate, pattoni amichevoli. Generalmente quando c’è gente in casa è sovraeccitato, ha le ganasce rosse, se lo metti a letto scoppia il finimondo. E’ di quei cuccioli che ti conquista disarmandoti. Ti corre incontro, ti abbraccia, ti bacia, e i nonni ingrassano, le ziette si innamorano, e lui arraffa coccole da tutti, si fa regalare caramelle (“camelli”) e si fa perdonare ogni cosa con una faccia da schiaffi impareggiabile. Poi è anche un po’ maldestro, corre a perdifiato, scontrando cose, inciampando, una specie di orsetto Knut. Ale è uno che non ha bisogno di scegliere, perché sono gli altri a sceglierlo. … e se lo trascuri ti sgrida: “fammi le coccole a me, …. Non in testa che mi fai-stidio, le bole nel collo”.

I miei occhi quando guardo gli occhi dei miei bimbi sono gli occhi di chi ogni giorno sprofonda in due paradisi.

separazione e trauma

spesso sento dire o mi sento dire frasi del tipo: "come è stato passare attraverso il trauma della separazione dei tuoi".
ogni volta la domanda mi sembra mal posta.

intendo dire, capisco bene cosa mi si sta chiedendo o a cosa si riferisce chi si interessa al problema e non mi metto certo a rompere le palle facendo distinguo o precisazioni, però il punto in questione è un altro.

proviamo a fare ordine.

quando due genitori si separano, essi, insieme ai figli, sono coinvolti sicuramente in un faticoso percorso di riorganizzazione delle relazioni che, se mal gestito, può causare traumi ai protagonisti. va tuttavia tenuto in considerazione che la maggior parte delle famiglie riesce a riorganizzarsi egregiamente, trovando nuovi equilibri che spesso dischiudono - fuori dalle disarmonie familiari - nuovi spazi per relazioni molto più intense ed arricchenti di quanto non fosse possibile durante la iniziale organizzazione familiare: madri che si rasserenano, padri che imparano a fare i padri, figli che scoprono che i loro genitori sono persone ricche di sentimenti, sogni e debolezze e non "miti" immobili e imperscrutabili.

quando due genitori hanno un pessimo rapporto , essi, insieme ai figli, spesso sono invischiati in realtà familiari caratterizzate da relazioni patologicamente bloccate, deludenti, conflittuali, dalle quali non sempre hanno le energie, il coraggio "sociale" e la forza d'animo di uscire optando per la separazione. spesso, anche quelli che riescono a compiere il passo della separazione, non riescono - allontanadosi gli uni dagli altri - a trovare un armonia ed un sistema di relazioni all'interno dei quali coltivare l'educazione dei figli e tutte le necessarie attività di cura utili alla loro formazione personale. un fallimento di questa portata, che fa sconfinare la crisi coniugale nella sfera genitoriale paralizzandone le atività, può creare gravi traumi ai protagonisti.

quando una coppia ha un buon equilibrio coniugale, bisogna stare molto attenti ad escluderla dagli ambiti all'interno dei quali si possono creare situazioni traumatiche. possono esistere, infatti, coppie che hanno basano il loro equilibrio su un rapporto pericolosamente asimmetrico, privo di alcuna condivisione delle responsabilità gentitoriali, con esiti gravi tipo assenze affettive, assenze paterne, incapacità materne etc.
credo che tutti abbiamo conosciuto, figli di papà drogarsi oppure venire divorati dall'anoressia, o sconquassati dalla bulimia o dall'acool. non erano mica tutti figli di separati. probabilmente erano figli di coppie la cui sfera coniugale era così inconsistente da non riuscire a sviluppare la minima capacità di prendersi cura dei figli.

quando una coppia ha un buon equilibrio, infine, bisogna fare attenzione che al suo interno uno dei genitori non abbia subito nell'infanzia traumi da maltrattamenti, da trascuratezza nelle cure ricevute o altri simili traumi, perchè questo tipo di genitore potrebbe far patire ai propri figli, involontariamente si intende, le stesse pene che egli ha patito da piccolo, per un diabolico fenomeno di perpetuazione dei comportamenti ben noto in psicopatologia.


quindi mi sembra di poter contestare l'equazione: figlio di separati = traumatizzato mentre vedo più probabile l'equazione: figlio di coppia "fallita" (separata o, peggio, non separata) = probabile problematicità, figlio di genitori disattenti o incapaci= probabile problematicità e infine figlio di genitori con infanzia problematica = probabile problematicità.

trent'anni di danni

Diciamocelo chiaro, se ognuno di noi mettesse insieme tutto quello che ha visto succedere, che ha sentito raccontare o che ha personalmente pensato di mettere in atto (o addirittura attuato) in tema di separazione, verrebbe fuori la migliore telenovela del secolo. E questa sconfinata cultura spesso trasuda da ogni nostra parola, da tutti i gesti ed i commenti quotidiani che facciamo. A volte invece, questo enorme bagaglio rimane sopito sotto la coltre, sembra quasi di essere in presenza di un ingenuotto, di un puro, di uno che crede ancora nelle favole, ma poi basta che l'amicio, il fratello, il vicino di casa si separi che ecco spuntare il mostro che è in lui, il "cattivo consigliere".
Fagli questa ritorsione, parlagli solo tramite raccomandata, non fargli più vedere i bambini, dichiara di non guadagnare niente, fatti licenziare e riassumere in nero, denuncialo per pedofilia, falla pedinare, controlla il cellulare, fai capire ai tuoi figli che tipo di madre hanno, dì loro che loro padre se ne frega di loro....
Mi fermo ma potrei continuare per ore.

Nell'era del "sacro divorzio" post anni 70, ci siamo cimentati nella nobile arte del divorzio, arte nella quale al centro del palcoscenico ci stanno due ex coniugi che hanno una gran voglia di sconfiggersi. Eh si, perchè il sistema ha deciso che va premiato chi vince - e che quindi assume il titolo di "genitore idoneo" - mentre il perdente sarà accantonato con il titolo di "individuo non idoneo alla genitorialità ma idoneo al sostentamento economico". E' un dato conosciuto che il 93% dei divorzi hanno visto affidare i figli alle madri. (Oggi c'è una nuova legge, per fortuna, che ha introdotto maggiore equilibrio).

L'errore sociale che abbiamo commesso non sta nell'assegnazione dell'affido (quello è l'effetto), ma nel concetto errato di mettere al centro del palcoscenico delle vicende di divorzio i coniugi; è questa la causa!.
Mettendo al centro del divorzio i coniugi in contrapposizione frontale, si è insaturata la logica del vincitore/vinto. E' questa errata prospettiva che ha fatto nascere la figura del genitore idoneo (affidatario) e quella del genitore non idoneo (pagatore-visitatore sporadico).

Abbiamo fatto una trentina d'anni di danni (che è anche un bello scioglilingua) per poi accorgerci che ci eravamo dimenticati i figli. Come quelli che si dimenticano la moglie all'autgrill e poi quando a sera tornano a prenderla si sorprendono perchè è un po' incazzata.
Siamo dei fenomeni. Vabbè.

Ed eccoci qui adesso a dover cominciare da zero, o quasi, a farci una nuova cultura. Non più quella della lite, della distruzione dell'avversario, del suo annientamento, ma della distinzione fra genitorialità e rapporto di coppia. perchè due persone hanno tutto il diritto di non amarsi più e di mettere fine ad un rapporto di coppia, ma questo non toglie loro la responsabilità che loro hanno nei confronti dei figli, della loro formazione di persone con un universo affettivo e relazionale da salvaguardare integralmente.
Ma se allora si vuole cominciare a farsi una cultura di cosa voglia dire per la formazione di un bimbo, l'integrità del suo universo affettivo e relazionale, ci si accorge subito che questo universo è fatto di rapporti frequenti, liberi e significativi con ambedue i genitori ed i loro rispettivi nuclei.
Se ci si accorge di questo allora forse si comincia a evitare o condannare ogni gesto che possa allontanare o screditare il partner dal quale ci si sta separando agli occhi dei figli, perchè così facendo non si ferisce lui ma l'universo affettivo dei figli. Si comincia allora a dover attuare delle strategie di lite e conflitto (sacrosanto intendiamoci) che si limitino alle vicende di coppia e tengano immuni il più possibile i figli. Si comincia a mettere al centro del palcoscenico i figli anzichè la coppia che si divorzia.
Allora forse avremo genitori separandi che si preoccupano di non distruggere l'immagine dell'ex-partner, parenti e amici che smettono di consigliare e aizzare l'amico affinchè sbaragli "l'avversario" come se si fosse a tifare per il Milan, avvocati che si parleranno fra loro per impostare vertenze esclusivamente economiche lasciando ai Mediatori Famigliari il compito di riorganizzare le relazioni famigliari, avremo giudici che utilizzeranno con equilibrio la nuova ottima legge sull'affido condiviso.
E poi forse fra qualche generazione, avremo genitori che insegneranno ai loro bambini coma diavolo si fa a fare i mariti e le mogli in questo mondo che è cambiato tantissimo e non può più vivere con gli schemi ed i modelli che hanno funzionato per due secoli e mezzo ma ora vanno modificati.

dopodichè cari mariti, segate pure i tacchi alle scarpe della moglie, e care mogli, rigate pure tutte le fiancate dell'auto del marito, ma giù le mani (e le parole) dai vostri bimbi.

la misura dell'amore

oggi mio figlio samuele di anni 6, giocando a biglie con me in salotto ha bestemmiato. serenamente.
da come l'ho guardato ha immediatamente capito di aver fatto una cosa bruttissima.
da come è trasalito ho capito che non sapeva assolutamente cosa aveva detto e fatto.
sono logicamente seguiti lunghi minuti di serissima spiegazione, i suoi occhi fissi su di me, il suo viso basso, la mia voce incalzante, ferma, severa, accorata.
molto difficile dover spiegare anzichè sgridare quando vorresti fare la cosa più definitiva e efficace del mondo.

poi una carezza, sul suo viso triste, e via, avanti così, pronti per la prossima contaminazione che arrichirà la sua vita, chissà con quale linguaggio, chissà in quale direzione. mio dio che paura.
mica potremo chiudergli le orecchie per impedirgli di sentire, neppure potremmo chiudergli la bocca per impedirgli di ripetere, oppure immobilizzarlo per non fargli nemmeno provare l'ebbrezza che si prova a fare qualcosa di nuovo, di brutto, di grave, di più grande di lui.
potremo solo sperare di essere abbastanza bravi da insegnargli un codice di comprensione, di selezione, di valutazione e riuscire a renderlo capace di comprendere, valutare e selezionare da solo.

educare un figlio non è più tenersi il bambino in casa, a giocare sotto il tavolo, o nell'aia di casa con il fattore, o nel sagrato con il parroco, dove tutto era sotto controllo, dove tutto era condiviso da tutti, dove il linguaggio era lo stesso per tutti e il bene era così facile da riconoscere ed il male così lontano...

educare un figlio oggi è insegnare dei codici di comprensione della realtà che entra nella nostra vita da qualsiasi parte. ogni giorno torni a casa e non sai da quale parte sta arrivando il prossimo attacco. siamo ormai senza alcun filtro ed un figlio a scuola, è un figlio che è già alla scoperta del mondo che ha bisogno di dare significato a tutto quello che vede.
educare un figlio oggi significa recitare come quegli attori coraggiosi che chiedono al pubblico di decidere loro l'argomento sul quale vogliono essere intrattenuti.
e allora dico che bisogna arrivare a questo momento armati di due armi assolutamente necessarie: una vivace consuetudine affettiva con i propri figli, ricca di gestualità e fisicità, ed una perseverante, caparbia, testarda, assidua attenzione alla loro vita, segnale inequivocabile di un profondo sentimento di cura.
perchè un figlio dovrebbe ascoltare noi anzichè un suo amico, un suo idolo, un suo modello esterno? la risposta è: perchè noi possiamo utilizzare il linguaggio ed il veicolo del sentimento d'amore che è una chiave di accesso con la quale possiamo conquistare e mantenre una posizione privilegiata nell'ascolto da parte dei nostri figli e poter quindi agire per il loro bene.
come si fa - allora - a far sentire amato i figli? la risposta è: prendendosi cura di loro e questo vuol dire, toccarli quando sono piccoli, lavarli, ninnarli, scaldarli, e poi parlargli ascoltari, capirli, quando cominciano ad essere più grandi. e poi sgridarli, indicando loro la strada, che un bimbo non ha bisogno di un amico che lo perdoni ma di un adulto esperto che gli insegni a vivere.
l'amore di genitore si dimostra prendendosi cura dei propri figli.
i figli l'amore lo misurano con la qualità della cure che hanno ricevuto.

otto cose sulla fux

raccolgo l'invito di fux a partecipare ad un gioco con queste regole: bisogna parlare di otto fatti a caso che riguardino se stessi in un post dedicato.
pare che si dica che sono stato taggato.... boh ...

siccome fux è mia sorella io cambio un po' le regole scrivo 8 cose su di lei.

1. ho sempre pensato che mia sorella fosse bellissima. soprattutto quando faceva le gare di ginnastica ritmica. andavo a vederla e ne ero così rapito che dovevo nascondermi perchè mi commuovevo, poi non potendomi innamorare di lei mi innamoravo delle sue compagne. Con maria laura andò così. avevo 14 anni.

2. da piccoli giocavamo tantissimo insieme. io ero dispettoso - per gioco - lei si incazzava per la gelosia tipica dei primo geniti e si vendicava mettendosi, per dispetto, il cappellino di lana beige tutto indietro nel modo che mi dava fastidio solo a guardarla, io che lo portavo calcato giù sulla fronte. l'avrei ammazzata. vendetta riuscita.

3. quando la sera la mamma ci sentiva ridere in camera invece di dormire accorreva furiosa tallonando a piedi nudi sul marmo. noi - temerari - le facevamo il verso fino all'istante in cui faceva irruzione in camera. Dicevamo: dan daradan, dan daradan, dan daradan. (era il rumore dei passi). e ridevamo come dei maledetti. avevo 3 anni.

4. una sera, durante una rivolta contro l'Elvira (la nostra tata di allora) le tirammo una mela, mancandola. Centrammo un vetro della finestra della cucina e dichiarammo, approfittando del fatto che sapevamo che ad Elvira non credevano tanto perchè un po' bugiarda, che il tutto era accaduto mentre stavamo giocando. avevo 3 anni e lei 5.

5. quando da ragazzi si andava in discoteca e sapevo che la fux sarebbe venuta anche lei, con i suoi amici, io mi sentivo responsabile per lei e la controllavo sempre, che non le succedesse niente. lei non sapeva nulla ma per me era un impegno, non stavo tranquillo, quasi preferivo che non venisse. poi comparvero i fidanzati e io potei passare lo scettro a loro. che fossero almeno utili visto che non erano dilettevoli.

6. un giorno a tavola mia madre disse che bisognava masticare ogni boccone 36 volte. chissà l'aveva letto sulla settimana enigmistica. Siccome la dinamica era che lei obbediva tantissimo - compiaciuta- ed io ero il discolo - compiaciuto - da quel giorno mastica sempre 36 volte ogni cosa che mangia ed io quando la vedo masticare ancora così penso "si va be però ora basta ... abbiamo 40 anni!!!"

7. la fux è nata per insegnare, perchè ha il dono di saper entrare nella testa delle persone e fare un ragionamento con il cervello degli altri. daltronde, come farebbe a sopportare quel personaggio di suo marito, bravo ragazzo intendiamoci, ma un po' ...... friulano..... come dire.

8. era il martedì grasso del 1982. fux entrò in camera mia e mi disse "la mamma se ne va". io risposi "e papà come farà?". poi diventammo grandi.

city

da buon provincialotto (sono di genova) ogni volta che vado a milano guardo tutto come se fossi al luna park. lascio la macchina a famagosta, che di imparare le vie di milano nemmeno ci voglio provare, e mi avvio verso il metrò che i veri fighi chiamano "la metro" (senza accento.
ogni volta mi stupisco come in quella camminata di 50 metri per raggiungerla mi sorpassino tutti. Eh si! perchè il milanese ha fretta per definizione, deve produrre, il tempo è denaro, l'orario è flessibile ma non troppo e comunque l'atteggiamento deve essere vincente. io invece arrivo bello padano, tranquillo, sempre vestito sbagliato (o troppo leggero che a genova si va ancora al mare, oppure troppo pesante, che se fa freddo a genova chissà a milano) e con un leggero senso di repulsione che mi fa fare le cose con calma.
e tutti mi superano. mi superano anche se in questa camminata veloce fanno delle piccole deviazioni repentine per prendersi una copia di un giornaletto che sta li a disposizione di tutti in piccoli raccoglitori gialli.
e lì ritorno provincialotto e dico "hanno fretta ma a quello non ci rinunciano .... solo perchè è gratis. .... e poi i tirchi siamo noi genovesi!!!!".
confesso di non averlo mai preso, ma di averlo sempre letto dietro alla schiena di qualcuno sul metrò.
scopro ora, dai commenti sul blog, che su city hanno pubblicato il mio post "sono felice".
mi sono sentito in colpa (oltrechè vanitosamente lusingato). sai come quando non fai il regalo alla zia antipatica a natale e lei arriva con il regalo più azzeccato del mondo.
poi mi sono detto. e che ci faccio io su city?
e ancora: e che ci fa quello di city sul mio blog?
risposta: boh!!!

no invece una risposta c'è, e non l'avevo colta. il blog e city hanno in comune il bisogno di essere sintetici ed immediati perchè i lettori di city e dei blog spesso sono persone che dedicano a queste letture non più di 5-6 minuti, quelli del tragitto in metrò o quello di una pausa caffè al lavoro, non di più, perchè il tempo è denaro, bisogna produrre, e l'orario è flessibile ma non troppo, ed io - provincialotto - non l'avevo capito.

evviva city.
e se qualcuno ha una copia del 16 ottobre mi fa un regalo se me lo tiene da parte.

E ORA?

le reazioni alla mia laurea sono state di tutti i generi. entusiasmo, commozione, rallegramento, stupore, soddisfazione, eccetera eccetera.
poi c'è stato qualcuno che mi ha detto, con una punta di ironia, un po' di pragmatismo, ma anche un po' di verità: cosa farai da grande?
l'assicuratore, come sempre. però .....
però cosa?
però qualcosa inerente a questa passione che ho sviluppato vorrei farla. intanto ho un debito con tartablù che mi ha gentilmente offerto di scrivere su una rivista prestigiosa e lo farò presto (prometto).

poi ho in mente di fare un corso per NEOPAPA'. che so, magari una serie di 4-5 sere, dopo cena, quando no ci sono partite, intendiamoci, durante i quali i futuri papà si fanno una bella idea della meraviglia che li sta attendendo, dei compiti, delle difficoltà, delle cose che bisogna imparare per fare il genitore.

è pieno di corsi pre maman che per i maschi sono una sonora rottura di palle. ora ditemi che cosa serve andare ad un corso di rilassamento per donne incinta, quando a rilassarsi sono loro e, per riuscirci, la prima cosa che ti chiedono è di toglierti dalle palle?!
allora tu stai li in un angolo a vedere questa maestra che respira profondo come se fosse incinta, ma non lo è, e tutte le mamme che stanno sedute per terra, scomode, perchè incinte loro lo sono davvero, e non riescono affatto a rilassarsi e a respirare profondo perchè hanno un piedino del nascituro piantato nel diaframma.
e tu, sempre nell'angolo che devi fare la faccia zen, per dimostrare che non sei un elemento di disturbo della labile fragilità della puerpera, ma anzi, sei un riferimento, un faro, un sostegno verso il quale si tende la mano di tua moglie per avere un conforto. "amore vieni con me al corso ... voglio condividere con te questo momento magico" .... e nel fumetto di lui si legge chiaramente "o santiddio che palle".
"amore dopo questo corso ho deciso di fare gli esercizi anche a casa, prima di rientrare portami alla fnac che compriamo un cd con il rumore del ruscello" .... "o santamaria".
non si contano le botte di vaffanculo che si sono presi i mariti in sala parto dalle mogli, e gli insulti che hanno ricevuto dalle ostetriche, dagli infermieri, dagli anestesisti. "lei stia li nell'angolo e veda di non svenire che non possiamo pensare anche a lei".

è pieno di questi corsi, dicevo, e vabbè. ma per i papà niente. chi glielo insegna ad un papà a cambiare un piccolo, a disinfettarlo, a toccarlo, a vestirlo senza stoccargli un dito, a ninnarlo senza shakerarlo, a fargli fare un ruttino senza rompergli due costole, oppure - per contro - a toccarlo senza aver paura di romperlo?
non è meglio che anche lui, come la mamma, impari? anche la neo mamma deve imparare e non è affatto detto che sia più brava e più portata di lui. certo se lui canta i cori da stadio anzichè una ninna nanna il piccolo preferirà la mamma ma per il resto, le manone grosse e calde di un papà sono una meraviglia per un cucciolo che vuole essere toccato, accarezzato, coccolato. poi ci sono le mille incombenze per imparare i ritmi del bimbo, la nanna, la pappa, il ruttino, i rigurgiti, le colichette, l'allattamento artificiale, quello naturale, tutto l'universo dell'igiene.
qui i casi sono due: o il padre è particolarmente intraprendente e "imparato" oppure la mamma, che non ha tempo di insegnare, soprattutto perchè sta imparando anche lei, si coalizza con sua madre o con la tata e il padre viene emarginato.
ed ecco che si cominciano a perdere preziose occasioni per fondare un profondo rapporto di confidenza epidermico affettiva tra padre e figlio.
la madre dovrebbe dedicare molta attenzione agli spazi per il papà, crearglieli, riservarglieli, lasciando il bagnetto da fare la sera quando il papà torna, spronando il papà a cambiare il bimbo, a lavarlo, a tenerlo in braccio facendo abituare il piccolo alla sua "mano". ma lo schema non deve essere "cambialo un po' tu che io mi sno già rotta la schiena e tu non fai una mazza per aiutarmi" ma, piuttosto, "torna a casa dieci minuti prima che ti godi un po' tuo figlio" ... (mia moglie è stata stupenda in questo).
per fare questo, però, l'uomo deve presentarsi preparato, capace, informato, consapevole, affidabile, sennò la moglie gli fa fare le cose ma gli sta appollaiata sulla spalla come un avvoltoio per controllare "lì, ti ho detto lì, puliscilo lì, tra le pieghette dcelle gambe, non lo vedi che è ancora sporco, .... ma sei proprio imbranato ... dai lascia fare, spostati che finisco io ... porfta giù la spazzatura va ... ".
può far sorridere, ma fare così è un errore grave. per tutti e tre.

potrei continuare per ore, ma ciò che conta è che credo siano necessari corsi per neo papà che si costruiscano le loro abilità e i loro modi di accudire i propri figli e possano costituire all'interno della coppia di genitori una valida ed equivalente alternativa alle cure della mamma - nei limiti si intende - e possano diventare dei compagni capaci sui quali fare affidamento per sopportare meglio le fatiche che crescere un figlio, inevitabilmente comporta.

.... e se al telefono l'infermiere chiede se la moglie ha perso il tappo mucotico lui forse non dirà "amore, soffiati un po' il naso che devo vedere una cosa".

appunti sull'assenza paterna

leggo dagli appunti scritti quando stavo ideando la mia tesi:

ASSENZE PATERNE
- padre morto
- padre che sparisce
- padre che non c'è mai per lavoro
- padre che c'è ma non è affettivo - solo autoritario
- padre che c'è ma non esercita l'autorità - solo affettivo
- padre che c'è ma non gli viene permesso di esserci - separazioni problematiche
- padre che c'è ma viene sempre screditato dalla moglie
- padre che c'è ma fraintende il ruolo e gioca soltanto

la cosa che mi è saltata agli occhi subito è la sostanziale differenza tra l'approccio di chi rintraccia l'assenza paterna solo nell'assenza fisica e chi invece ne fa una questione di comprensione del ruolo da svolgere e capacità a svolgerlo.
ridurre il problema ad una scarsa presenza fisica, porta a limitare il campo di indagine. ci vogliamo mica dimenticare che i peggiori danni causati da padri incapaci avvengono in famiglie ancora unite? non ci vorremo mica raccontare la bugia che le separazioni sono la causa dell'assenza paterna? è pieno di padri separati che sanno fare i padri egregiamente o che in quell'occasione lo imparano a fare meglio di prima e pieno di padri negati, che sfuggono agli occhi meno attenti perchè fanno i loro danni in famiglie non separate.
il problema sta tutto nella capacità di comprendere quale ruolo deve avere il padre all'interno della famiglia e nei confronti dei figli. tutta la società deve chiarirselo e tutti devono concorrere affinchè uqesto ruolo si chiaro, rispettato, valorizzato.
avremo allora mogli che lo rispettano, avvocati che non lo saccheggiano, giudici che non lo discirminano.
il padre, dal canto suo, dovrà imparare a svolgere il suo compito, accettando di essere in una situazione nuova rispetto agli ultimi secoli, ed accettando di dover trovare all'interno del proprio modo di essere, una via credibile per non far mancare il suo apporto alla formazione personale dei propri figli, senza scimiottare il modo di fare delle madri, senza cercare la scorciatoia della sola affettività, dell'autoritarismo, dell'amicizia coi figli.
Un padre non è solo un tenero coccolatore, né solo un burbero mazzuolatore, né solo un accondiscendente compagno di giochi.
Un padre è origini, presenza, guida, affetto, norma, marito della madre, parte della coppia genitoriale.

Lo so, è un casino di cose, ma che ci possiamo fare?

parodia della mia tesi

Prendi un uomo, povera stella, di quelli che hanno sempre comandato, legiferato, spadroneggiato in casa e fuori. Di quelli che "pago quindi volgio il servizio" e di quelli che "ho lavorato tutto il giorno quindi ora per favore non rompetemi i coglioni e ditemi quando si mangia" e se i figli non obbediscono giù sganasse e qualche cinghiatina sul sedere, tanto per gradire.
Beh prendetelo e cominciate a dirgli. "Senti un po' stellin, da domani questo tono te lo dimentichi perchè ci ricordi tanto quel panzone di Mussolini, e poi sai che c'è, visto che metà dei tuoi simili sono crepati in guerra ed è pieno di orfani di padre, adesso se non ti dispiace i figli li cresciamo secondo le regole delle donne che sono di più e ci sanno fare meglio".
Questo derelitto poi, spogliato di tutte le sue uniformi, lo dai in pasto ai sessantottini, che l'autorità la fanno a fettine: Sei un politico? Calci nei coglioni; sei un professore? calci nei coglioni, sei un padre? calci nei coglioni.

Orbene, ora prendete i resti di questo essere martoriato e lasciatelo solo insieme a un gruppo di femministe. "come hai detto scusa? vuoi andare allo stadio?" SBERLONA, "come dici tesoro? quand'è che si mangia che leggi il giornale?" SBERLONA, "non scusa ripeti che questa è bella! tu i pannolini non li cambi e la spesa non la fai perchè sono cose da donne?" DOPPIA SBERLONA, "ah aspetta dimmelo ancora che mi fai morire dal ridere, vuoi che mi metta i tacchi e la minigonna per piacerti?" SBERLONA E CALCIO NEI MARONI, "e quando siamo a letto vedi di non pensare solo a te stesso sennò te ne mollo un altro".

Se è rimasto qualcosa di questo rottame, andate a casa sua e guardatelo alle prese con i figli. "come dici papà, non devo fare questo? ma Raz Degan ha detto che è di moda!" "come scusa, perchè mi devo allacciare le scarpe e tirare su le braghe, tutti i miei compagni della compa mostrano le mutande" "e poi sai che è pieno di ragazzi normalissimi che si fanno il peircing sul capezzolo e sul sopracciglio, dai, lasciamelo fare sennò mi sentoi sfigato".
E la moglie invece, "ehi testina, guarda che ho lavorato tutto il giorno anch'io, quindi non rompere, apparecchia, stendi, e controlla il risotto che si attacca", "senti caro, non è che domani prendi ferie che dobbiamo portare i bimbi dalla pediatra e io ho un appuntamento con un cliente importante", "già che ci sei, insegna un po' alla donna come vuoi stirate le camicie che non se lo può inventare".

Se ne conoscete uno che poi si sta separando aspettatevi che vi racconti che il giudice, l'avvocato, la ex moglie gli hanno detto che di tenere i figli non se ne parla, perchè non è idoneo, al massimo la domenica al luna park o in spiaggia, però per pagare invece, massimo dell'idoneità. E non rompa le palle.

Finito questo trattamento, ridimensionamento, lifting, disorientamento, prendete il soggetto in questione e ditegli. "Dai su, non fare così. Sii uomo".
E lui: "uomo come, scusa?, puoi mica chiarirmi il concetto? che non vorrei che mi sbaglio di nuovo e mi prendo un'altra riga di calci nelle palle?"
............................ "un aiutino?" ......................
"come dici scusa? sono un padre assente e un marito deludente? parli di me? o parli di tutti i maschi che malgrado il gran numero di calci nelle palle non sono ancora riusciti a capire come si fa a fare il padre di questi nuovi figli e il marito di queste nuove mogli?"
"avete buttato ed abbiamo lasciato buttare tutto l'uomo-maschio-padre a mare ma ora è il caso che noi e voi, insieme, si ricostruisca la nostra figura, la nostra posizione, il nostro ruolo, per il bene della nostra società, della coppia, dei nostri figli".
"E smettetela con sti calci nei coglioni"

Questa è la storia della mia tesi.

sono felice

l'altro ieri mi sono laureato. a 41 anni. e sono felice.

mi ricordo ancora quando tre anni fa, d'estate, con quella fregola che mi prende quando mi annoio, stavo cercando nella mia testa qualche stimolo, qualche progetto, dove incanalare le mie energie.
avevo appena preso la patente nautica, studiando la sera e mi era molto piaciuto studiare anzichè guardare la televisione. andavo a letto più appagato e più rilassato.

così in una libreria ho preso la guida alle Università e mi sono messo a cercare.
Ho scelto Pedagogia. Mia moglie mi guardava interrogativa. Mille volte io mi lancio ma non sempre poi parto davvero. Ma questa volta si.
Tornato dalle vacanze, iscrizione, libri, comunicazione a mio padre - che è il mio socio di lavoro (che mi ha guardato come dire "Sto pensando che è una delle tue sparate ma non te lo faccio capire che lo penso sennò ci rimani male") e patto con mia moglie la quale con la sua proverbiale grinta mi ha detto "Ok, però la si fa veloce" ed io a pensare "Si va beh ... adesso non esageriamo".

Morale, dopo tre anni di studio serale e notturno, e a volte mattutino, 27 esami e con una sessione di anticipo, mi godo il mio bel 110 e lode con una soddisfazione che mi sta salendo dalle profondità delle viscere ogni giorno di più, man mano che mi rendo conto di quello che ho fatto.

Stasera brindisi a casa mia con i parenti per festeggiare. Ci sarà anche la FUX, mia sorella, con marito e bimbi (3) che viene giù da Udine, e tutto il resto della famiglia a festeggiare questa impresa titanica che nemmeno io credevo di poter riuscire a fare. Ci sarà mia moglie, con il suo bel sorriso, consapevole di essere stata lei a darmi le energie ogni giorno, ogni sera e i miei bimbi che non hanno ancora ben capito perchè un papà oltre a lavorare va anche a scuola.
Fra le stupende bomboniere rosse che mia moglie mi ha preparato ce n'è una sola col fiocco bianco. E' per mio padre. Dentro c'è un biglietto con scritto: "Scusa il ritardo", perchè lo so che lui lo desiderava tanto e quando avevo abbandonato Economia e Commercio ci aveva sofferto.
Non l'ho fatto per lui ma il pensiero di regalargli una gioia è stato una delle motivazioni che non mi ha fatto mollare mai.

la dedica della tesi era: "a rosco e ai suoi sogni".

e ora mi dico bravo.

che fatica

Finalmente ho finito gli esami.
27 cazzutissimi esami per la Laurea in Scienza Pedagogiche e dell'Educazione.
E' stato un percorso stupendo, faticoso e appagante.
Adesso ho finalmente il tempo di dedicarmi alle materie che più mi sono piaciute e che approfondirò per piacere personale e non per obbligo didattico.
Comincerò che la mia tesi che avrà un titolo tipo "Le declinazioni dell'assenza paterna" e che avrei intenzione di scrivere sul blog.

L'idea è quella di utilizzare il blog per gli appunti che scrverò man mano che affronterò un argomento, un testo, una problematica.

Vedremo cosa ne uscirà.

il fantabosco dei papà assenti

E’ notte nel fantabosco. La libellula Hope, come tutte le notti, instancabile, perlustra ogni angolo del suo territorio per far visita ai bambini che alla fine della giornata lasciano il prato soleggiato per passare la notte nel bosco.

Ciao, come ti chiami?
Mi chiamo Andrea.
Perchè hai quella faccia triste?
Perché ogni volta che la mia mamma, al tramonto, mi accompagna ai bordi del prato per lasciarmi al mio papà che mi deve condurre nel bosco, lui non c’è mai, allora è la mia mamma a portarmi nel bosco, ma con lei ho paura perché lei sa dare solo baci e carezze, ma contro i lupi ci vuole la voce grossa, i muscoli, ed una spada tagliente. A forza di andare con lei nel bosco finirà che non imparerò mai a combattere i lupi e forse morirò.
Hope baciò la sua lacrima e volò via.

Ciao, come ti chiami?
Mi chiamo Stefano.
Perché hai quella faccia triste?
Perché ogni volta che la mia mamma, al tramonto, mi accompagna ai bordi del prato per lasciarmi al mio papà che mi deve condurre nel bosco, lui comincia a urlare, a sgridarmi, ad obbligarmi a combattere i lupi come vuole lui. Io credo che a lui non interessi che io ho paura, che avrei bisogno di vedere la luce della luna per orientarmi, per rassicurarmi, e che vorrei sentire di più la stretta della sua mano e meno le urla della sua rabbia. Ogni giorno che passa mi viene voglia di fare l’opposto di ciò che mi dice, così alla paura del bosco si aggiunge la paura delle sue grida.
Hope baciò la sua lacrima e volò via.

Ciao, come ti chiami?
Mi chiamo Emanuele.
Perché hai quella faccia triste?
Perché ogni volta che la mia mamma, al tramonto, mi accompagna ai bordi del prato per lasciarmi al mio papà che mi deve condurre nel bosco, lui mi dà l’impressione di non sapere cosa fare, dove andare, come combattere i lupi. Scherza, ride, vuole essere mio amico, ma io ho paura che a forza di fare così, il giorno che ci capitasse un lupo da combattere io non saprei come combatterlo perché non mi insegna mai niente, non so le regole del combattimento. Allora io comincio a scappare così lui è costretto a cercarmi, a stare attento a me. Spesso appena si distrae corro via e vado dove ci sono i lupi, magari vedendomi in pericolo gli verrà voglia di insegnarmi a combatterli.
Hope baciò la sua lacrima e volò via.

Ciao, come ti chiami?
Mi chiamo Daniele.
Perché hai quella faccia triste?
Perché ogni volta che la mia mamma, al tramonto, mi accompagna ai bordi del prato per lasciarmi al mio papà che mi deve condurre nel bosco, io so che da quel momento in poi avrò freddo. Mio padre è molto bravo a combattere i lupi ed è molto bravo ad insegnarmelo. Sa tutte le regole del combattimento, sa usare le armi, conosce bene il bosco e con lui mi sento al sicuro. Però io ho sempre freddo e lui non mi permette di stargli vicino, di scaldarmi col suo corpo, perché – dice – un uomo deve scaldarsi da solo, non deve aver bisogno di queste cose da signorina.
Hope baciò la sua lacrima e volò via.

Ciao, come ti chiami?
Mi chiamo Jacopo.
Perché hai quella faccia triste?
Perché ogni volta che la mia mamma, al tramonto, mi accompagna ai bordi del prato per lasciarmi al mio papà che mi deve condurre nel bosco, lei trova sempre una scusa per non portarmici. Dice che il bosco è un posto brutto, pericoloso, pieno di insidie, non adatto ad un bambino. E poi c’è buio. A me piacerebbe molto ogni tanto vedere come è la notte, il buio, il silenzio, il freddo, come sono fatti i lupi e come si combattono. Mi piacerebbe tanto imparare ma ormai mi sono convinto che questa non sia una buona idea e quindi quando vedo la mia mamma che si inventa una scusa per non portarmi oppure sento che con le sue amiche o con i nonni parla male del bosco credo che in fondo lei abbia ragione. Infatti le poche volte che non riesce a trovare una scusa valida ed è costretta a portarmi, io muoio di paura, voglio tornare subito a casa e non vedo l’ora che la notte finisca. Sarò un bambino che vive solo nel prato col sole.
Hope baciò la sua lacrima e volò via.

Ciao, come ti chiami?
Mi chiamo Mario.
Perché hai quella faccia triste?
Perché ogni volta che la mia mamma, al tramonto, mi accompagna ai bordi del prato per lasciarmi al mio papà che mi deve condurre nel bosco, io ho sempre meno voglia di andarci. Ogni giorno, quando siamo nel prato, non fa che parlar male del bosco, dice che è sporco, che è buio, che è pieno di inutili pericoli, che ci sono i lupi e imparare a combatterli è stupido e insensato, che mio padre intanto non è né capace a combatterli né capace ad insegnarmi, che per di più non conosce il bosco e non ci si sa orientare. Se proprio qualche volta vorrò andarci mi ha detto che verrà anche lei così eviteremo di metterci nei pasticci.
Hope baciò la sua lacrima e volò via.

Ciao, come ti chiami?
Mi chiamo Simone.
Perché hai quella faccia triste?
Perché ogni volta che la mia mamma, al tramonto, mi prende per mano e mi porta a fare una passeggiata ai bordi del prato vedo tanti bambini che incontrano il loro papà che li porterà nel bosco. Io non ci sono mai stato nel bosco perché non ho mai avuto il papà, ma la mia mamma tutte le sere mi racconta per ore e ore di come è fatto il bosco, di chi lo abita, della luce della luna, dei pericoli, dei lupi e a me sembra di conoscerlo perfettamente. E poi so tutto anche del mio papà, di come combatteva i lupi, di come mi avrebbe insegnato se ci fosse stato, di come conosceva ogni angolo del bosco e di come sarebbe stato felice di portarmici ogni notte di ogni giorno. Poi la mia mamma mi mette a dormire in un rifugio buio agli angoli del prato ed io aspetto il mattino per tornare al sole.
Hope baciò il suo viso fresco e volò via.

vita bassa

l'insofferenza alle mode l'ho sempre reputata un sintomo di vecchiaia.
si possono prendere le distanze dalla moda in generale, nel senso che ritengo salutare lasciarsi influenzare solo marginalmente dalle tendenze, mi sembra che sia giusto aggiornarsi per non sembrare jurassici ma niente di più. chi si veste sempre all'ultimissima moda, sposando ogni ultima tendenza, fino nei dettagli, per me è privo di fantasia e personalità. però rifiutare la moda dicendo "quelli lì mi sembrano tutti scemi" è proprio da vecchi.
orbene .... la moda della braga a vita bassa proprio non ce l'ho fatta nemmeno a sfiorarla. una volta ho comprato un paio di jeans di quel tipo, li ho provati da in piedi (e come sennò) e tutto mi è parso sopportabile. trionfante, me ne sono andato a casa, li ho subito messi e, sentendomi supergiovane, mi sono seduto a tavola con mia moglie e i miei bambini. alla seconda forchettata mi sono interrotto perchè un refolo d'aria aveva rinfrescato le parti che amo avere calde e coperte. mi sono aggiustato con un piccolo sobbalzo tirando in su la braga. niente!. terza, quarta quinta forchettata, ormai l'arietta arrivava fino alle soglie della fessura dei miei amati glutei e orrore degli orrori, aggiustando, tirando, sobbalzando per coprirmi, ero riuscito solo a tirare su i boxer, che quindi spuntavano mostrando una tragica righetta rosa/celeste che faceva a pugni con la stoffa della camicia.
prima del secondo avevo già cambiato braghe.
in seguito ho fatto altre tre prove, perchè - mi sono detto - magari quella sera ero nervoso e si sa, quando il nervo è teso, si soffre tutto. niente, sempre fumate nere.
alla fine ho regalato 100 euro di braghe al mio amico danilo che forse ha i nervi più saldi, o le mutande più in tinta, di me.

che male c'è mi sono detto, questa moda non fa per me. fine. pace.

orbene (di nuovo) ... da quel giorno, incuriosito dal mio insuccesso ho buttato l'occhio sui giovani (quelli veri) ed è cominciato il supplizio. eh si perchè vedere il perizomino che spunta dalla braga bassa di una bella fanciulla ha il suo sporco fascino per noi (ormai) contemplativi, ma il problema è che poi l'abitudine ti porta a guardare sempre e allora ti becchi la cameriera balena con la braga bassa e una buzza orrenda che gli esce, oppure la segretaria culona del mio collega che s'è comprata la mutandina con la farfallina dietro ma date le proporzioni quella farfallina è grossa come un'aquila. poi ci sono le stressate con braga bassa e magliettina corta che passano il tempo a tirar giù una e su l'altra.... che vita. poi quelle con un po' di pelo sul coccige ...... ragazze ... oltre i baffetti dovete "passare" anche di lì, abbiate pazienza!! alcune poi esagerano e quando sono sedute gli vedi proprio la fessura delle chiappe ... beh, si potrebbe usare come porta penne, o porta ombrelli oppure posteggiarci la bici. vi assicuro che quello non è per niente sexy.
infine i ragazzini con le mutande firmate (false) che per farle vedere fanno scendere la braga fino alle cosce e per non perderle devono camminare come john wayne, .... beh ... "mi sembran tutti scemi" .... vedi .... sto invecchiando.

i segreti dell'amore

per una sana, equilibrata e soddisfacente vita di coppia consiglio a tutti i maschietti di non trascurare assolutamente la cura dell'unghia del dito alluce.

la vita di coppia si snoda infatti tra mille impegni, spese, fatiche, appuntamenti, orari di lavoro, orari di famiglia, biberon notturni, cacche, culetti, pannoloni radioattivi, favole da raccontare, liti da sedare e mediare, malumori da assecondare, suocere da gestire, nonni da catechizzare e implorare, cambi armadi da fare, clienti incazzati da strozzare ma quando si entra in casa da dimenticare, e poi il ciclo che destabilizza, la varicella che immobilizza, l'afta in bocca che nevrotizza, la tata nuova che problematizza, il vicino che polemizza, la bilancia che terrorizza .............. e alla fine di tutto questo .... la sera a letto .... vorresti essere anche un amante decente.
E lì tutto si gioca sui dettagli, su attimi, su sfumature. Da come entri nel letto, da quanto ci metti a lavarti i denti, da che argomento hai in piedi mentre entri in camera, dal calzino lasciato per terra proprio in camera, proprio lì accidenti proprio stasera che stavo andando così bene, proprio nella camera dove vorresti trasformarti in un amante fresco e pimpante, da come guardi la candela lasciata accesa ad arte "che c'è, amore, non ti piace?" "no no no è stupenda..." dal pigiama che hai scelto.....

ma metti per caso che fin lì sei andato alla grande.
metti che prima di salire in camera hai intavolato un piacevole discorso sulle ferie di quest'estate che forse "vorrei fare una settimana di più per stare con voi", metti che azzecchi l'entrata in busta senza sembrare un ippopotamo, diventa basilare il primo contatto. E' questione di chimica, di non mandare in fumo quel briciolo di energia che è rimasto a tutti e due.
Entri, allunghi il piedino, che è sempre meglio cominciare soft con qualche grattino e poi passare all'azione ma d'un tratto: ZAC ..... "ahia amore! ma cos'hai nel piede, una scimitarra?", "no scusa, deve essere l'unghia dell'alluce ho dimenticato di tagliarla" "ci mancava anche questa, oggi correndo dietro al piccolo mi sono inciampata sullo skate e ho la caviglia che mi fa un male ...." vabbè .... non ti offendere amore ..... aspetta va, che quasi quasi scendo a prendere un po' di lasonil .... aspettami eh, non ti addormentare che torno subito ....
si amore ti aspettoooooooooo zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz.

il mondo è orizzontale

ieri con mia moglie abbiamo parlato del terzo figlio, che forse faremo, ma probabilmente no, che ci piacerebbe fare, ma forse è meglio di no, di cui ci piace parlare, senza il freno che un argomento così porta spesso con se. Ne parliamo per il gusto, per sentire che effetto fa, per sognare un po', che sognare non costa niente ed è bellissimo. Si chiamerebbe Silvia oppure Leonardo, ma non le ho detto, perchè non mi era venuto in mente che mi piacerebbe Iacopo. vabbè.
vorresti maschio o femmina?
per me è uguale, come lo era prima, per lei - adesso - anche. dico adesso perchè ora che abbiamo due maschietti si è resa conto che due figli sono due mondi, sono due universi da esplorare e scoprire, da osservare. poco importa di che sesso sono. si va be, le bamboline, i codini, i fidanzatini, tutte balle. la differenza tra i tuoi figli non si misura in codini o scarpe da calcio, in maschere dei power rangers o barbie e dolceforno (mazza come sono vecchio!!).
queste sono le classiche divisioni verticali, i classici strereotipi che valgono poco. il mondo bisogna imparare a guardarlo trasversalmente, per capirlo. la stragrande maggioranza degli stereotipi sono idiozie. non ci sono donne che guidano bene e uomini che guidano male, ci sono persone negate a farlo e altre brave. io stiro meglio di mia mogie e quando qualche oca a qualche cena strabuzza gli occhi io la guardo e penso "ecco questa pensa ancora che il mondo sia verticale". Macchè maschi/femmine, macchè papà autoritario/ mamma affettiva, macchè questo lo fa la donna / questo l'uomo.
Il mondo è orizzontale, facciamolo a fettine per largo e lo capiremo meglio. ..... e fra esattamente 3 minuti anche io sarò orizzontale .... che ciò un sonno bieco.
zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz.

io corro

Io corro.
ogni settimana tre volte, ogni volta 14 km. so che per chi non lo fa sembra una roba assurda, ma invece so che per chi corre è una robetta da niente. c'è chi corre tutti i giorni, più chilometri, più veloce di me. ma guardare i chilometri o quanti minuti ci si mette a farne uno, è qualcosa che assomiglia alla passione tutta maschile per misurarsi il pisello alla quale io cerco di sfuggire, con risultati alterni ahime (così l'orologio da runner che misura tutto ce l'ho sempre dietro).

comunque corro e al di là che lo faccio per stare meglio con me stesso e con i miei vestiti (e forse con mia moglie che anche se mi ama, credo preferisca avere accanto un tonnetto di 82 kg - strafigo - piuttosto che un cinghiale di 90 kg - cummenda attempato), col tempo ho imparato ad apprezzare il lato zen della corsa.

faticare, di una fatica ripetitiva e "antica", è una pratica che rischiara gli orizzonti. la fatica, quella vera, e correre lo è, spazza via dalla mente tutti i fronzoli. quando fatichi tantissimo e hai ormai la forza nelle gambe per non fermarti e quindi quello che ti viene richiesto è di resistere mentalmente, di colpo ti accorgi che per farlo hai bisogno di togliere dalla mente qualcosa per far spazio a questa impresa. e allora da dove cominci ? dalle cazzate, dai fronzoli, dalle cose inutili, dalle sovrastrutture, dalle cose contorte e a forza di fare questa operazione, alla fine nella mente rimangono poche idee e belle chiare.

ormai lo so. se un'idea resiste a 70 minuti di mazzo, allora è degna di essere presa in considerazione. se sfugge, sbiadisce, si indebolisce, la cestino. ma questa è ancora l'attività più semplice. a far pulizia non si fatica poi così tanto.

la vera impresa è l'elaborazione: ho un problema in testa, non riesco a risolverlo, che faccio? rimando, .... "ci penso oggi mentre corro". e lì è un'impresa. titanica. metti che vuoi rispondere ad una lettera di un cliente stron** che ti ha offeso, o vuoi trovare il modo per non prenderlo in quel posto sul lavoro, oppure hai una discussione con la moglie su una questione di principio. pensarci metre sei stanco, stravolto, bisognoso d'affetto, quindi biecamente buono, inoffensivo, altruista, disponibile, è una tortura.
escono sempre soluzioni accomodanti, mediazioni, perdoni, ...... belin .... e io che volevo mangiarmelo quel maledetto là, o che volevo vendicarmi, o metterglielo in quel posto .....

è che la fatica avvicina al proprio limite, aver paura di non farcela mette a nudo l'istinto di sopravvivenza e da quella situazione si esce più umili, più saggi, più equilibrati. allora penso che forse correre oltre che a farmi entrare nei vestiti e piacere di più a mia moglie mi fa stare bene anche con gli altri, mi fa essere migliore.
grande scuola la fatica. la conosciamo così poco.
domani altri 14 km, dai, così forse chiudo la settimana senza fare danni.

papà assenti

"E' un papà assente!".
Quando sento fare questa affermazione, riferita a qualche "assente", durante qualche conversazione, mi viene un nervoso che vorrei fermare tutti e dire. Adesso ti spieghi meglio e ne parliamo.
Eh si perchè le cose vanno chiamate con il loro nome e la semplificazione e l'ingordigia di utilizzare scorciatoie e luoghi comuni va combattuta fino in fondo.
Vorrei sapere se:
E' un papà che non c'è mai perchè non può?
E' un papà che non c'è mai perchè non vuole?
E' un papà che c'è ma è come se non ci fosse dal punto di vista educativo?
E' un papà che c'è ma è come se non ci fosse dal punto di vista affettivo?
E' un papà che non riesce a fare il papà perchè non ha un suo spazio nella coppia genitoriale quindi è screditato come padre?
E' un papà separato che non vuole più fare il padre?
E' un papà separato che non riesce più a trovare il modo di fare il padre?
E' un papà separato cui non è permesso fisicamente di fare il padre?
E' un papà separato cui è smantellato sistematicamente ogni tentativo di fare il padre?

Beh ognuna di queste più precise categorie di papà assenti porta con se significati, spiegazioni, effetti, risvolti, completamente differenti tra loro.
Chiarito questo possiamo continuare a parlare. E che cazzo!

cannoli e ormoni

l'amore si vede dagli occhi. un papà che guarda dormire suo figlio, un bimbo che guarda la sua mamma, una nonna che guarda correre i suoi nipoti, un pittore che guarda una sua tela, un innamorato che scambia uno sguardo d'intesa con la sua compagna, un ristoratore che parla di vini, basta osservarli che si percepisce l'amore.
ed è bello osservarli, perchè emanano benessere, calore, piacere di stare al mondo.
l'altra sera, mia moglie ed io abbiamo organizzato una festa per i nostri compleanni, un dopo cena, "frutta e dolci" e da bere naturalmente.
a rendere la cosa speciale è stato il fatto che i dolci li ha fatti un nostro amico di milano - Luca - pasticcere per passione, che nessuno (o quasi) dei nostri amici conosceva.
Passata l'ovazione iniziale degli invitati, dovuta al godimento nell'assaggiare cannoli, croccanti, paste con la frutta, bigné e altre golosità, passato pure il difficile momento del brindisi a lui dedicato, durante il quale ho visto transitare nel suo sguardo lampi di soddisfazione alternati ad un velo di timidezza, mi sono divertito a osservarlo mentre con garbo e pazienza si è messo a disposizione dei nostri amici che volevano imparare a farcire un cannolo (ne aveva lasciati un vassoio appositamente vuoti) con quell'apposito attrezzo da pasticcere che sembra una calza con la punta di metallo.
Luca lì era a suo agio, i suoi occhi erano sereni e sorridenti, i suoi gesti lenti e ritmati, la sua disponibilità verso tutti gli imbranati di turno era quella di un maestro che insegna con pazienza ai bambini. Era felice, ed era bello guardarlo. Lui ama quel lavoro, e ogni persona che lo viene a sapere si fa raccontare tutto, perchè le favole con questioni d'amore di mezzo fanno sempre piacere.
Mentre ero lì che lo ammiravo, ho pensato: "ad avercela sarebbe da dargliela!
E chissà che qualche amica di mia moglie presa per la gola non ci faccia un pensierino".
Tempo a pensarlo che già alcune fanciulle prese per la gola (o dall'ormone, boh) si accalcavano vicino a lui per chiedergli come si tiene quell'affare, come si schiaccia, accidenti come sei bravo, ma hai fatto davvero tutto tu, fammi assaggiare la crema, ma com'è che si sbatte la panna, vieni qui che ti metto la cioccolata direttamente in bocca con quest'attrezzo, ancora un po', un po' anche a me. Un delirio.

Così, finita la festa, mentre riordinavo la casa alle tre di notte, ho pensato: hai capito "il Luca" (come dicono a Milano) di giorno lavora in banca, poi - la sera - spignatta un po', prepara qualche prelibatezza, poi si presenta alle feste con i suoi occhi da cucciolone timido e piano piano aspetta che il peccato di gola chiami il peccato di ormone, e la sua tela da "pasticcere acchiappa femmine" è fatta.
Han voglia i suoi due volenterosi amici (che lo hanno accompagnato) a inventarsi argomenti per intrattenere le donzelle presenti. Quelli sono modi di rimorchiare da dilettanti, è roba da lumaconi, qui siamo nell'alta scuola del rimorchio, quella che fa cadere nella trappola le fanciulle senza che se ne siano nemmeno accorte.

E io che facevo il poeta sugli occhi dell'amore, ma che amore, qui si parla di cannoli e ormoni. altroché!

il mostro Barbataus

non lo farò più di non scrivere per così tanto tempo.
ora sono intasato di pensieri, emozioni, cose che mi ero ripromesso di scrivere e non ricordo più con l'intensità necessaria.
purtroppo io vivo di slanci e frenate, passioni e silenzi, .... chi mi conosce lo sa. non tutti apprezzano ma è così.
gestire me stesso è un lavoraccio. faccio una fatica bestia a presentarmi decentemente ordinato e coerente al mondo, quando dentro ho questo putiferio, però - sarà l'età - mi piace moltissimo essere così. raggiungo estensioni meravigliose che mi fanno amare tantissimo la vita. poi so che ogni tanto devo pagare il conto. allora mi rintano. mi chiudo in qualche "luogo" dove posso solo ascoltare la "mia musica" e aspetto che passi la bufera.
la mia musica, la mia favolosa raccolta di vecchie squadre di subbuteo, le braccia di mia moglie che dorme, il mondo dei miei figli. soprattutto loro.
i bambini vedono gli angeli, hanno occhi sognanti e magici, sono capaci a immaginare e volare dove noi, vecchi rottami di uomo, non siamo più capaci nemmeno a pensare.
lavoro, soldi, budget, pretese, torti, odi, ripicche, affari, promesse, delusioni, speranze, ... la mia mente a fine giornata è carica di mille tensioni e preoccupazioni, tutte terrene, tutte inutili, tutte "volgari", entro in casa e trovo i due seguenti soggetti urlanti: Alino, due anni, felice e onnipotente perchè proprietario legittimo di n.2 palloncini gonfiati tenuti saldamente in mano, e Samu, cinque anni, contrariato perchè il Gormito Arbataus che credeva essere buono invece gli è stato detto all'asilo che è cattivo.
mi fermo perchè un residuo di stronzaggine imprenditoriale mi fa balenare in mente un raffronto sull'importanza dei problemi appena lasciati in ufficio e la banalità della reputazione di Arbataus. poi mi dico, hanno ragione loro, è molto più bello e importante essere proprietari di due palloncini gonfiati e tenerli saldi in pugno piuttosto che pensare di essere tenuti per le palle da qualche pallone gonfiato sul lavoro, ed è molto più bello e nobile difendere la reputazione di Arbataus piuttosto che sapere di avere a che fare spesso con gente con reputazione indifendibile.
Alino mi guarda e mi comanda "tole giacca!" , ha ragione, per giocare bisogna togliersi la giacca, io obbedisco e mi metto subito di fronte a lui pronto a giocare a palla. lui corruga la fronte e con tono sempre severo mi dice "tole coda!" ... intende la cravatta. ha ragione lui, siamo dei mostri con la coda davanti che lavorano in un mondo di mostri.
per fortuna che poi abbiamo la fortuna ed il regalo di poter tornare a casa ed incontrare, vivere, sfiorare, il mondo degli angeli. avere un figlio vuol dire questo.

fortunati un corno!

Mi chiedo: Com'è che la felicità fa due palle così?
Pare che la felicità sia stucchevole, pastosa, scontata ..... insomma fa cadere le palle. ma non il viverla, intendiamoci..... il sentirsela raccontare.
forse è per questo che quando nasce un figlio - e non si parla d'altro - tutti gli amici ti cominciano a guardare con quello sguardo che si riserva al vecchio zio che si è rincoglionito.
mi rendo conto che sorrisini, dentini, prodezze, la prima scoreggina, la volta che me l'ha fatta in mano, la pappa sulla cravatta, e quando ha gattonato, e quando ha detto mamma, nonno, papi, cacca, sono argomenti che ad una cena stufano anche i più tenaci.
vuoi mettere, che so, il racconto di una serata a sorpresa con un uomo sbagliatissimo che un'amica di mia moglie si è organizzata, per dar da mangiare alla sua ansia da donna irrisolta, oppure la cronaca della sbronza, involontaria ci mancherebbe, del mio amico scapolo che è andato alla festa di beneficienza ma poi là tutte facevano le zoccole, anche se i mariti erano a un passo (forse abbarbicati ad altre più zoccole della moglie) e lui si è lanciato e alla fine poco ci è mancato che si facesse una dentro un bagno.
dai ..... molto meglio. più frizzo. più sale.
allora visto che ospitiamo sempre noi, perchè gli amici sono tutti ancora con vite, e case, indefinite, il rituale è sempre lo stesso:
i primi discorsi, per cortesia, sono riservati a noi: gli stucchevoli e sdolcinati genitori di due figli stupendi.
"quanto hanno adesso i bimbi?" "madonna come passa il tempo" "e il piccolo va già all'asilo?" "nooooooo samuele sa già scrivere?" "guarda il cucciolo come assomiglia al papà" ............ dopo poco si sente già il ribollire delle palle sotto il tavolo.
Mia moglie poi è un'entusiasta e allora rincara la dose, racconta, elogia, e giù aneddoti, trovate geniali, prodezze, sorprese.
Si sentono i primi tonfi delle palle cadute a terra dei meno pazienti.

E che dire di me? volete che si dimentichi di elogiarmi (amore mio, non smettere ti prego, ti prendo solo un po' in giro sennò non leggono più il mio blog) e allora via ad elencare di quando ho fatto quello, quell'altro, e quel giorno che, non ci si crede, ma proprio io ho risolto tutto facendo da solo questo atto eroico da super padre. Tutto troppo bello, tutto troppo facile tanto da risultar noioso.
Ed ecco l'immancabile commento:
"Come come come scusa? tuo marito ha tenuto i figli un week end da solo mentre tu andavi ad un congresso! Non ci credo, è un extraterrestre, non esiste, non può essere, pensa che lui (indicando il marito a fianco che no la caga) non ha mai cambiato un pannolino. Guarda credetemi voi due siete proprio fortunati".
A me sta cosa mi fa incavolare.
Quest'idea che una coppia funzioni solo se si è fortunati mi sembra il più grande fraintendimento dei matrimoni d'oggi. Sarà colpa delle telenovelas, del '68, che ne so, fattostà che se si smettesse di credere di poter stare insieme senza farsi un c*** così, molte meno coppie naufragherebbero.
Allora quando sento qualcuno che dice di noi, "troppo facile parlare per voi che siete così fortunati" sorrido ma dentro di me penso al lavoro che c'è sotto e a quanto lontano sia il mio mondo da chi vive di serate, aperitivi, avventure.

E' già un miracolo che si riesca a passare insieme una bella serata.

l'aratro

Il ferro del mio aratro
adesso
solca profondo,

divelle zolle
dissoda e strappa,
scioglie le foglie
radici strappa.

Il mio aratro di ferro
dismesso
di nuovo solca.

(anonimo)

capriole

Io a mia moglie gliel’ho detto dopo qualche tempo che ci siamo conosciuti. Guarda che tu non mi conosci. Eh si perché a quei tempi una persona che non mi avesse mai visto con un fianco scorticato, con una borsa del ghiaccio sul ginocchio, con lo sguardo assente perché concentrato sulla partita di campionato del sabato, o con l’umore sverso per una sconfitta, con la tensione del sabato mattina prima di entrare in campo, con la grinta e la furia da combattente durante il match con la soddisfatta stanchezza dopo una vittoria magari con un goal mio, beh … chi non mi aveva mai visto così, non poteva dire di sapere quale fosse la mia anima.
Col calcio fu amore vero, 26 anni di passione, a cominciare dalla scuola calcio col burbero signor Barich, un vero educatore, un vero formatore di piccoli uomini - che i genitori sfigati criticavano e temevano, per paura che gli sformasse i loro figli già senza spina dorsale a 6 anni – per finire con tutto il mega gruppo di amici con i quali ho condiviso battaglie, sogni, alleanze, lotte per l’onore, amicizie al di là dell’età, del ceto sociale, dell’educazione, ma basate sulla lealtà, lo spirito di squadra, la passione. Sentimenti d’altri tempi.
Era uno sport senza soldi, senza spettatori, senza stampa, senza mezzi, con la gioia delle maglie nuove pagate da qualche pazzo sognatore e, gli ultimi anni, autofinanziate. Ricordo migliaia di partite con gli spalti vuoti, al massimo con qualche fidanzata che aveva qualcosa da farsi perdonare, con signori sfigati a fare da guardialinee perché l’arbitro veniva da solo.
Ricordo il disagio quando la mia squadra, per potersi permettere due o tre anni di sport ancora per tutti, mi vendette ad una squadra più forte. Ero lusingato ma triste. Mi pagarono 4 milioni e mezzo. Era l’anno che Vialli passò alla Juve per 45 miliardi. ….. più o meno …..
La squadra nuova pagava 10.000 lire a punto, ogni vittoria 20.000. Ed io, quando incassavo, andavo all’uscita dell’allenamento dei miei ex compagni e pagavo a tutti da bere. Non concepivo di prendere soldi per giocare.

Samuele 5 anni,è portatissimo per il calcio ed ha voluto provare la scuola calcio, la mia stessa, l’ALBARO CALCIO.
L’ho portato ad un allenamento e mentre lo vedevo sgambettare senza capo ne coda, felicissimo, mi sono chiesto: gli insegneranno la lealtà? Gli insegneranno ad applaudire all’uscita la squadra avversaria se ha vinto? Gli insegneranno ad alzarsi in piedi subito se il colpo preso non è stato forte? A rispettare l’arbitro a prescindere? A rispettare l’allenatore a prescindere? A dare la mano all’avversario dopo uno screzio? A rispettare chi è più forte e chi è più scarso? Ad allenarsi anche se si è panchinari? A non saltare gli allenamenti per rispetto ai compagni? A prendersi la responsabilità dei compagni di squadra più giovani? Ma soprattutto gli insegneranno che il calcio è un gioco?
Il signor Barich insegnava tutto questo.
Il calcio “vero” fa schifo. Personaggi da grande fratello in campo, trasmissioni volgarissime, soldi e ancora soldi da fare venire nausea. Chissà che questa cultura non sia già risalita alle scuole calcio? Il dubbio ce l’ho.
Parlotto con un papà che mi chiede: Tu giochi?
Io: Giocavo! e mentre lo dico penso che chi mi incontra adesso, che non gioco più, non tifo più, e vado allo stadio solo per stare un paio d’ore con mio padre – ora si - conosce la mia vera anima. Ho l’anima del rugbista non del calciatore. La frase di Beppe Grillo "Il calcio è uno sport che bisogna cominciare a odiare" è stata un pugno nello stomaco ma ora la condivido.
A fianco a me una madre grida come una matta al figlio "Tira, imbranato!". Penso "mi spiace signora ma suo figlio è negato, niente notorietà, niente nuora velina, niente tv, soldi, e se continua così sarà pure complessato".

Alzo gli occhi, cerco Samu nel mucchio di bimbi che si affollano intorno alla palla. Non lo trovo. Mi volto, guardo in porta, non c’è. Mi allarmo un po’ ma alla fine lo vedo, laggiù, si è appartato vicino al calcio d’angolo, con un altro bambino.
Mentre l’azione impazza lui gli sta insegnando le capriole che ha imparato a Karate.
Per ora sono salvo. Si torna a casa.

Taci Gina

fra un'ora arriverò a casa e troverò il seguente "presepe": i miei cuccioli urlanti che mi aspettano per la cena, mia moglie (che utlimamente amo più del solito) che sarà sorridente data la circostanza, mia suocera con la sua pettinatura a nido di aquila, sua madre con la sua camminata ondeggiante che mi dirà "ciao bell'uomo" (intenditrice!!), Caropallo cioè Paolo (lo zietto di famiglia) che mi dirà "ciao Pisel" (il nomignolo che mi ha dato quando avevo tre anni), lo zio Paolo che è un'altra entità, anche se si chiama uguale, che è il rustego (finto scorbutico) di casa con i suoi occhiali appesi al collo con un cordino marcio e le mani fini da artista (fa lo scultore) e le "Gine" (dicesi Gine l'indissolubile binomio miamadre+mianonna che hanno preso il nome di "Gine" perchè mia nonna si chiama Gina e mia madre, che la accudisce come fosse una principessa, è sempre con lei. Quindi "Gine") le quali saranno probabilmente a braccetto ad assistere, beate, al quadretto familiare.

Tutto 'sto casino perchè si festeggiano i 95 anni della nonna Gina. Mica poco.

La nonna Gina ha un soprannome che è "Gina"....... non è che siamo tutti rincoglioniti è che chiamandola "Gina" anzichè nonna o mamma rievochiamo il modo che aveva di chiamarla il mitico nonno Aldo il quale, affetto da un sano e robusto maschilismo, alla seconda frase che la nonna proferiva in qualsiasi contesto, esclamava la mitica frase "Taci Gina".
Che uomo!
Che virilità!
Ma soprattutto ..... che invidia ....!
Non esistono più gli uomini di una volta!

Così la Gina ha taciuto fino al 4/9/1986, giorno in cui il nonno è morto (dopo essersi fumato più sigari di Fidel Castro).
Il problema è che dal 5/9/1986 la "Gina" ha cominciato a parlare e ..... ti lascio dire ... come direbbe lei. Da dietro quegli occhi turchesi e quei modi gentili da regina è uscita una personalità che nessuno di noi aveva mai sospettato.
Ancora oggi, che non è più al massimo delle sue energie, con quella linguetta biforcuta riesce a tagliare e cucire che è un piacere.
I suoi temi preferiti sono quelli inerenti la carriera familiare di mia madre, stroncata ancora oggi per essersi voluta separare (peccato che è successo nel 1982!), oppure l'eterna polemica con lo Zio Paolo, il rustego, che vive con Lei, sul fatto che mangia troppo e deve dimagrire. Poi lei mangia più di lui e mia madre si incazza.
Uno spasso.
Per certi versi è anche moderna.
Una volta dopo avergli raccontato il perchè del mio sfidanzamento con la fidanzata storica che ho avuto prima di mia moglie, ci ha pensato un po' e poi mi ha detto, alla tenera età di 87 anni: "ma dimmi un po' ....... a letto come andava?".
Un mito.

Vabbè andrò a casa. Ci sarà un casino pazzesco. Lei ne sarà felice. Quando saremo tutti a tavola telefoneremo a mia sorella che vive a Udine e ci sguazzerebbe in un pandemonio del genere, farò qualche foto, tollererò mia madre che urla (perchè la "Gina" e un po' sorda) mi godrò la meraviglia di vedere la "Gina" tenere sulle gambe mio figlio Alessandro, (che sono gli unici due in tutta la stirpe ad avere gli occhi turchesi e hanno 93 anni di differenza)e aspetterò che, alla fine, la "Gina" mi dica per la milionesima volta la frase che più me la fà amare: "Titto, è stata una giornata meravigliosa".

soave

tutta questa bella ampiezza di vedute che vado sventolando come un piazzista manco avessi qualcosa da vendere, stasera mi ha fruttato un esperienza che è tutta un programma: torno a casa presto per stare un po' coi cuccioli, che non ci riesco sempre, gioco con loro mentre la tata spignatta poi mi metto a dar da mangiare ai due satanassi, mia moglie è al lavoro. l'idea è quella di farle trovare, quando torna, una situazione ottimale: bimbi mangiati, pronto in tavola per noi, tv spenta. la tata se ne va lasciando qualcosa di pronto, sparecchio il casino dei bambini apparecchio per noi due, riscaldo quel che c'è, esagero con due candele sul tavolo e tutto fiero la aspetto.
Entra distrutta e sorride a stento, i bimbi le corrono in contro. Vede l'opera d'arte sulla tavola e si siede subito. Ahi, non traspare l'atteso sguardo di immensa riconoscenza (penso: "vabbè lo so quando hai fame sei una jena") faccio finta di niente e allungo un piatto dicendo "è tutto pronto" (penso "quand'è che mi fai un monumento?") lei con sguardo basso e famelico attacca la frittatina, la mette in bocca, fa una piccola smorfia (niente di chè, intendiamoci) e dice " ... ma è fredda ... quante volte te l'ho detto che la roba fredda non mi piace!?".
attimo di silenzio .... mi alzo ..... e penso in un pico secondo "è giusto così, noi uomini dovevamo aspettarcela che prima o poi che si sarebbero vendicate", penso a mio nonno che si faceva scegliere i vestiti, a mio padre che è stato educato così e ha dovuto diventare cosà, a tutte le volte che dicevo a mia madre "perchè non fai la casalinga? (così mi disfi tu la borsa del calcio)", penso alla mamma di mia suocera che si imbarazza se sparecchio, penso anche che forse potrei fare un gesto plateale, che so una scenata tipo casalinga frustrata, oltretutto mi rendo pure conto di avere indosso il grembiule, .......... no .... i bigodini non li ho ....., penso ai miei amici che sono tutti più stronzi di me e alle amiche di mia moglie che hanno tutti mariti più stronzi di me, ma poi .... con un bel sospirone ....le metto il piatto nel microonde, abbozzo un sorriso e, evitando qualsiasi tipo di ironia che potrebbe essere usata contro di me, ritorno a tavola facendo finta di niente. .... soave .... sereno .... imperturbabile.

GRANDE penso dentro di me SEI STATO GRANDE ma poi l'orgoglio maschile si fa vivo e penso, ma per fortuna non dico: si però stasera me la dai.

La favola trasversale

C'era una volta Cenerentola che non ne aveva proprio voglia di andare al ballo del Principe. Voleva invece andarsi a fare un bel giro in moto. Pensò a dove potesse trovare una moto ma si rese conto che nella sua favola non c'erano moto.

Chi è che aveva una moto, Samu?
Edgard!


Gli venne allora in mente che Edgard aveva una bella moto, allora uscì dalla favola di Cenerentola ed entro in quella degli Aristogatti, andò sotto casa di Edgard che dormiva, entro nel suo box, gli fregò la moto e se ne andò a fare un giro.

Il Principe però aveva voglia di vedere Cenerentola, perchè se ne era innamorato, allora pensò di andarla a cercare. Gli ci voleva una macchina che andasse veloce ma nella sua favola non c'era nessuno che gliene potesse prestare una.

Samu, chi è che aveva una macchina velocissima?
Crudelia Demon!


Benissimo, allora il Principe uscì dalla favola di Cenerentola, entrò in quella della Carica dei 101, andò sotto casa di Crudelia - che stava facendo la cacca - e gli fregò la macchina. Cominciò allora a cercare Cenerentola in tutte le strade del mondo, in ogni città, in ogni posteggio.

Anche quelli della Coop?

Certo in tutti tuttissimi ma non la trovava mai. Allora si spazientì e la chiamò sul telefonino.

"Cenerentola ma dove cavolo sei, è settantamilacento ore che ti cerco e non ti trovo!?"
"Sono a fare un giro in moto nella favola degli Aristogatti".
"Ecco perchè non ti trovavo, io ti stavo cercando nella favola della Carica dei 101, che scemo!"
"Vabbè Principe, facciamo così, vediamoci tra mezz'ora davanti al tuo Castello che ho deciso di venire alla festa"

Cenerentola e il Principe, rientrarono tutti e due nella favola di Cenerentola, si incontrarono davanti al Castello ed entrarono per mano alla festa.
Cenerentola era la più bella di tutte con il suo casco rosso e la sua giacca da moto di pelle.
Ballarono tutta la sera e poi si sposarono. E vissero felici e contenti.

Papi, e la scarpetta?
La scarpetta niente, Samu, Cenerentola aveva gli stivaletti da moto
.

il papà magico

Le donne l'hanno capito una trentina d'anni fa che il modo più efficace per affermarsi doveva essere la valorizzazione della loro "differenza" dall'uomo invece che il miraggio dell'uguaglianza.
La prima le avrebbe valorizzate come esseri unici, la seconda le avrebbe fatte diventare delle UOME. Stronze come un uomo diceva Vecchioni.
Adesso tocca a noi maschietti. Se vogliamo affermare il nostro modo di fare i papà abbiamo le stesse due strade: scimiottare le donne e quindi diventare dei "Mammi" o dei "Mariti scimmietta" (per citarmi un po' addosso) oppure inventarci un nostro modo di essere papà.
E allora largo alla fantasia, soprattutto a quella, visto che nel migliore dei casi abbiamo avuto papà affettuosi e presenti che quindi ci hanno lasciato qualche modello da imitare; ma nessuno non ci hanno "insegnato" a fare i padri del 2000.
Spazio alla fantasia, dicevo, per sfruttare il tempo, poco, che passiamo insieme a nostri figli, per inventarci un modo di poter essere dolci ma non mielosi, essere educatori senza plagiare, confidenti ma non amici, autorevoli e non autoritari, spiritosi ma non stupidi......

Cerchiamo di insegnare loro che la virilità non è machismo, che la dolcezza non è solo femminile, che gli uomini baciano, accarezzano, che gli uomini vogliono le coccole oppure piangono, o non piangono ma soffrono lo stesso. Diciamo loro, con i fatti, che anche se siamo a casa meno della mamma, ci occupano di loro lo stesso, chiedendo, informandoci, sgridandoli ( chè sgridare è un prendersi cura) spiegando loro sempre il perché.
Sfruttiamo le occasioni che ci capitano: lo sport? Bene, spieghiamo loro che esiste sempre qualcuno più forte ed uno più debole di noi, che esistono le regole e chi non le rispetta, che esiste un arbitro e chi non lo rispetta. Il Lavoro? Bene, insegniamo loro che essere uomini significa lavorare tutti i giorni anche se non sempre è bello, sopportare un capo tutti i giorni perché è il capo, di sopportare clienti tutti i giorni perché pagano ….. I viaggi in auto? Ottimo, insegniamo a guardare fuori dei finestrini a incuriosirsi come facciamo noi nei milioni di chilometri che facciamo per lavoro, giochiamo a poker con i numeri delle targhe che ci sorpassano, insegniamo a ridere di chi s’arrabbia e suona e a capire i pericoli e le insidie.
Diamo loro delle chiavi di lettura al maschile, che li aiutino a capire che esiste un mondo complesso e non è un dramma e che "papà lo risolve così". I bambini hanno bisogno di chiavi di lettura, di significati per capire il mondo, diamo loro la nostra e loro si arricchiranno.

Consiglio a tutti i papà di leggere Grammatica della Fantasia di Rodari. E' un libretto minuscolo, di ottima lettura in bagno :-), che dà un sacco di idee. E’ un piccolo "attrezzo" per imparare a diventare papà magici.

... e diccelo ...

chi glielo dice a due delle mie quattro impiegate che non si dice "il sig. Rossi dice che non le interessa questa cosa"?
chi glielo dice a mezzo mondo che non si scrive "copia da ritornare firmata"
chi glielo dice all'impiegata di un mio amico che non si dice "c'è delle pratiche che non c'è"?
chi glielo dice alla stessa impiegata che non si dice "c'è della gente che hanno dei coraggi!"?
chi glielo dice al mio vecchio allenatore di calcio che non si dice "lascilo che stii"?
chi glielo dice alla tata del mio amico che non si dice "facci lei che fa più bene"?
chi glielo dice di nuovo al mio allenatore che non si dice "ora gioca i piccini, poi i grandi"?
chi glielo dice al L*** che non si dice "ti lascio l'abi e il cabi del mio conto"?
chi glielo dice al Rag.F***tti che non si dice "Dottore .... detto inter-nobis ..."?
chi glielo dice alla signora A*** che non si dice "c'è stato un qui pro quod"?
chi glielo dice alla stessa signora A*** che non si dice "modern" ma modem?
chi glielo dice a ***** che non si dice "oppuramente"?
chi glielo dice al mio compagno di squadra che non si dice "giochila, passila, ragionila, girila, ritornigliela"?

però che nessuno si sogni di svelare al mio amore di 5 anni, Samu, che non si dice "papà ora mi ascolto un po' il mio LAIPOD". Lo amo troppo quando lo dice.

la purezza

chissà che fine ha fatto Attilio, il vecchietto che faceva le pulizie nel nostro ufficio quando ho cominciato a lavorare.

Era una persona semplice, mansueta, gentile. Amava intrattenersi con le signorine dell'ufficio a fare discorsi filosofici.
Un giorno, presentandosi a mia madre che era venuta a trovarmi, si era tolto il cappello, aveva fatto un mezzo inchino (uomo d'altri tempi) e dandole la mano le aveva detto: "piacere, Pittavini Attilio, sono quello che, praticamente, pulisco."

Stupendo.

Un altro giorno poi disse una frase che non ho più dimenticato:

"Al mondo ci sono solo tre cose pure, i bambini, la musica e i fiori".

Sublime.

5 cose che non sapete di me

ricevo l'invito dalla mia madrina di blog a cimentarmi in questo esercizio di lavatura panni .... non in famiglia .... che accolgo con irresponsabile entusiasmo:

1. è da quando lavoro che, se ho la cravatta, i clienti mi chiamano dottore (che non lo sono). quando l'ho capito (era il 1988) ho smesso di dire che non lo ero, loro non ci credevano e a me faceva tanto comodo.
2. sull'ascensore mi schiaccio i punti neri.
3. dopo vari tentativi falliti sono finalmente riuscito a fare un Genova - Milano in auto, senza mai togliermi le dita dal naso (2005).
4. al bar frego sempre gli scontrini lasciati dagli altri sul bancone perchè me li detraggo.
5. vorrei una porsche e me ne vergogno.

ed ora fate di me quello che volete.

il mondo alla rovescia

i primi di gennaio è arrivata la tata di scorta. eh si perchè la "titolare" ci ha fatto questo scherzetto qui.
si chiama Nancy.
ma perchè le equadoriane hanno sti nomi americani? Nancy, Norma, Elvis (il figlio), io mi aspettavo che si chiamassero Dolores, Sancho Panza ..... vabbè, saranno le telenovelas.

Comunque dicevo, oggi mia moglie mi ha pregato di insegnarle a stirare le camicie. "visto che poi te le metti tu".
Eh si, perchè il titolare della cattedra di "stiro" in casa sono io. Sono un fuoriclasse e, quel che più stupisce, mi piace farlo.

Allora Nancy, prima i polsini dal rovescio e senza schiacciarli a modi focaccia ma lasciandoli tondi senza piega, poi il colletto dal rovescio col vapore schiacciando molto, poi le maniche, ma attenta alle pieghine vicino al polsino, poi il dietro, poi le spalle e attenta alle pieghine del davanti dove si incontra con le spalle, ed infine il davanti, con l'apretto.
Le spiego e le faccio vedere, è già abbastanza brava, bastano le rifiniture.
Ah ... quando la mette sulla gruccia, chiuda solo il bottone in alto e pieghi bene il colletto che quando la camicia si raffredda tiene la piega che ha sulla gruccia.

Mi domando in silenzio: Nancy, cos'è quello sguardo? Cos'è quel sorrisino. Non ti sembro credibile come teacher? ti fa strano che un uomo ti insegni una cosa da donna?

Oh guarda che io sono un uomo/padre/marito del 2000, che pensa che bisogna finirla con ste cavolate dei lavori che li sanno fare solo le donne. Capisco il parto, l'allattamento, ma la spesa, la lavatrice, da mangiare, stirare ..... dai non raccontiamoci balle le possono fare tutti. ....... e anche le coccole, le pappe, i pannolini, la nanna, le favole .......

al tuo paese no, vero?. te lo leggo negli occhi. in quel sorrisino imbarazzato col quale mi ascolti educatamente.
tu stai pensando, "guarda questo qui che è uscito dall'ufficio per venire a insegnarmi a stirare" tu ti stai dicendo dietro i tuoi occhioni neri "ma in che mondo sono finita".
hai ragione Nancy, è un mondo alla rovescia.
le nostre mogli lavorano come noi, guadagnano più di noi, quindi se noi maschietti non ci diamo una svegliata ci ritroviamo le valigie sul ballatoio.
ed eccomi qui, con la cravatta, a insegnarti a sitrare e poco importa se non rientro nei tuoi canoni, nei tuoi stereotipi.

io, cara Nancy, gioco la mia partita, io faccio la mia parte, mi sono strutturato per avere il diritto di appartenenre a questa famiglia fatta di due uomini: uno che si chiama mamma (e c'ha le tette ..... per intenderci) e uno che si chiama papà (e c'ha il pisello)

tutti e due, poi, c'hanno le palle.

baby ski

Frequentare i campi da sci per bambini è un’esperienza formativa.
Coppie di genitori di ogni genere si ritrovano in un piccolo spazio, accomunati dalla stessa missione improba. Portare i figli a sciare. E così per una settimana vedi le stesse facce stanche e tese, senti le stesse voci urlanti e tese, incroci gli stessi sguardi disperati e tesi.
E’ inutile negarlo, almeno una volta ognuno ha un crollo di nervi, si tratta solo di aspettare quando sarà il tuo turno.
• Mentre gli metti gli scarponi e appoggiano la calza nel fango?
• Mentre gli metti la giacca e loro giocano col fratello?
• Mentre gli metti la crema e gridano?
• Mentre gli metti gli sci e stanno molli e ti si spezza la schiena?
• Mentre gli passi i bastoncini e non li vogliono poi l’amico ce li ha e li rivogliono … ma sono in macchina?
• Mentre rosicchiano lo skipass e lo smagnetizzano?
• Mentre il maestro sta partendo e loro gridano che lo odiano?
• Mentre transitano sulla seggiovia e non ti salutano?
• Mentre per parlare con l’amichetto sul seggiolino dietro della seggiovia si voltano e perdono le racchette?
• Mentre entrano stremati e affamati nel ristorante piangendo e urlando “non ho fame” proprio di fronte a quella coppia che conosci un po’ e magari ti sta sulle balle e vorresti non farci quella figura di m…. ?
• Mentre si tolgono la giacca al ristorante e la fanno scivolare sull’acquetta del pavimento?
• Mentre acconsentono a mangiare la carne solo in cambio di coca cola, patatine fritte e ketch up e tu acconsenti proprio mentre tutti ti stanno osservando per vedere se hai le palle o cedi al ricatto?
• Mentre si alzano prima di aver finito chiedendoti raggianti “sciamo ancora?”
• Mentre ti accorgi che si sono messi a giocare con la neve mentre tu andavi a comprare altre 5 corse e si sono bagnati tutti quindi “in queste condizioni a sciare non ce li porti”?
• Mentre qualche snowboardista con le treccine e il cerchietto te li stira perché “scusa ma sto imparando”.

Dai su confessate …. Quante crocette avete messo?

Frase intercettata nella mischia: “meno male che domani vado in ufficio”. Ed era una voce di donna. ….. tempi moderni!

il bufalo delle nevi

di essere razzista lo sapevo già da tempo.
ricordo come se fosse ora, nel tunnel che separava gli spogliatoi dal campo da calcio, dove l'arbitro ci faceva mettere in colonna prima di entrare in campo, l'attenzione con cui scrutavo gli avversari.
e non facevo le considerazioni che si possono immaginare, tipo: il terzino è alto, il mediano è grosso, quell'altro è piccolo quindi veloce. no. controllavo se c'era qualcuno col codino o peggio, col cerchietto.
nella mia concezione rude e maschia del calcio - un po' all'inglese, un po' di stile rugbystico - non tolleravo atteggiamenti da fighetto in campo.
così controllavo, identificavo la fichetta di turno, prendevo buona nota del suo numero di maglia, che gettavo uno sguardo di intesa al mio amico Enzo ed entravo in campo bello carico.
la prima roncolata nelle caviglie sarebbe stata per lui. io davo il la, il resto poi lo faceva Enzo che faceva il difensore ed era un killer.

oggi che sono un maturo padre di famiglia - e non gioco più a calcio - qualche altro sintomo di razzismo o meglio antipatia fisica diretta ce l'ho.
odio lo snow board e tutti quelli che ci vanno sopra.
intanto sono tutti vestiti da straccioni ma dopo aver speso migliaia di euro, poi sono tutti imbranati perchè stanno imparando, poi fanno un rumore quando si fermano che ti fanno sempre pensare che tistia arrivando addosso una valanga, inoltre quando ci riescono disegnano traiettorie incompatibili con quelle degli sciatori normali, passando in diagonale da una parte all'altra della pista, falciando tutto quello che trovano.
li odio.
odio il loro bivaccare sulle piste, seduti, sbulinati, pieni di neve e di maglioni di lana troppo lunghi, odio il loro continuo ridere per le culate prese, ......

con queste rosee premesse l'altro giorno uno di questi punk bestia scivolatore mi ha falciato il mio bimbo di 5 anni che sciava incerto e timoroso su una pista di collegamento tra la baby e lap artenza dello skilift.
sto essere immondo, ha curvato improvvisamente - senza guardare - per fermarsi e il mio cucciolo per evitarlo ha girato a sinistra anche lui, col suo bel culetto tutto indietro per la difficoltà, e il suo caschetto rosso scintillante, ed è volato giù nel fosso.... sotto i miei occhi.
mio dio, e che ci sarà dietro al precipizio? pietre? un albero? un buco? il vuoto?
nei dieci metri che ho fatto a scaletta alla velocità della luce per raggiungerlo mi sono visto l'inferno passare davanti.
il cucciolo ha continuato a sciare anche giù dal burroncino, ha sorpassato sciando un masso enorme ed è caduto dopo nella neve fresca.
grazie signore!
piangeva, mostrandomi una mano. oddio si è rotto un braccio, il polso, le dita, la spalla. no gli dava fastidio la neve nel guanto. grazie ancora.

dall'alto sento una voce che mi chiede notizie.
è il bastardone. non ho la forza di essere incazzato. sta merda è così imbranato che non sa neanche togliersi la tavola dai piedi per scendere ad aiutare per fare qualcosa di normale.
eh si cara merdaccia, sei uno strano, hai le treccine, il maglione fino al culo sporco di neve, sei uno contro, contro le convenzioni, contro la stucchevole normalità, ma si dà il caso che sei andato contro al figlio di un normale, convenzionale, scontato, allineato, padre di famiglia con capello corto quindi ora ti dimentichi di essere tutto quello che sei e ti inventi una frase convenzionale educata, che dia un segno riconoscibile di dispiacimento. boffonchia qualcosa che non sento.

tiro sul il bimbo, imposto una voce pacata, lo rassicuro sulla neve nel guanto, mi complimento per aver evitato il bufalo delle piste.
non riesco a pensare ed ad ascoltare sto coglione che continua a boffonchiare e che, scopro, è uno che balbetta.
penso: mavaffanculo sfigato, levati quel costume di carnavale e vai dal logopedista.

riparto, samu non piange più, andiamo in coda allo skilift, mi ricordo dello sguardo di enzo, ai codini, ai cerchietti, magari sotto quella beretta di lana marcia ha il cerchietto sto stronzo. penso che potrei vendicarmi alla pista successiva, ma non lo trovo, non lo vedo più. meglio così.

papi ora facciamo una gara.
si amore, il tuo tenero e rassicurante papà, è un intollerante razzista di merda, ma ora ti fa fare una bella gara di sci.